Mutate Cassano, anzi lasciatelo parlare

Non essendo stato in grado di lasciare il segno con il calcio giocato, a Cassano non è rimasto altro che provarci a parole, vestendosi da giullare.

cassano, NapoliFoto Mosca
Articolo di carloiacono28/09/2022

©️ “CASSANO” – FOTO MOSCA

Mutate Cassano. Si fa per dire, ma anche no. Come si potrebbe fare a meno di Fantantonio. A meno di lui si potrebbe, in effetti, ma non di certo in un podcast di Fedez, alla Bobo TV, in una puntata un po’ loffia di Pardo, in uno spazio grottesco adibito a circo. Lì dove si riuniscono gli insonni, i tifosi dell’ultima ora, gli smanettoni dei social, quelli che capiscono il calcio perché hanno visto quella foto, quel video, quel grafico, hanno sentito tal dire cosa.

Cassano è diventato la Giulia de Lellis del calcio, o chi per lei. Cassano è una delle tante fashion blogger, gossip girl, rivelatrici, Pamela Prati, che si trovano nei salotti della D’Urso. Un personaggio che fa accendere gli schermi, distrae, crea dibattito, risate. Una volta produceva reti ed assist, oggi audience, e anche di quella fumosa, senza sostanza, che ti fa lacrimare gli occhi come a chi è troppo vicino alla brace. Prima o poi stanca, il fumo. La corte sentirà il bisogno di altro.

Stanca ascoltare Cassano. Stanca vederlo atteggiarsi come il figlio del padre sceso in terra per insegnarci il verbo del calcio. Stanca la sua mancanza di rispetto nei confronti di chiunque, dei perdenti, dei vincenti, di chi non ritiene al suo livello. Messi, Maradona, Jordan, Ronaldo (il fenomeno) al massimo, poi verrebbe lui a sentirlo parlare. Perché Cristiano a lui non piace e di Baggio e Cruijff si sono già dimenticati tutti. Ma tutti chi?

Perché Haaland non sa giocare a pallone, è un Vieri ma col fisico di Adriano. Inzaghi non è stato nessuno, segnava alla carlona. Dei due, il norvegese e Superpippo, meglio Balotelli, il più forte attaccante italiano e, soprattutto, un ragazzo per bene. Si rida pure di Ancelotti, anche se è l’allenatore più leggendario che abbiamo conosciuto. Si derida Allegri, poverino, non sa nulla. Che scappati di casa quei blucerchiati che ha portato da solo in Champions nel 2009, con buona pace dei vari Pazzini, Palombo, Mazzarri. Che scappati di casa gli azzurri che Diego portò allo Scudetto.

“Scappato è il suo cervello” ha replicato presto Renica a difesa dei suoi compagni: Garella, Bruscolotti, Ferrara, Bagni, De Napoli, Carnevale, Giordano e via dicendo.
Come un campione, Renica, ciò che Cassano non è mai stato. Ha vinto, poco, e mai per merito veramente suo, nonostante il talento. Il Pibe di Bari ha ricevuto un dono dal cielo, comune a pochi eletti. Una dote, quella dei migliori, ma dilapidata nel tempo, svilita, umiliata, mortificata. Dovrebbe star zitto solo per quello spreco, per quel peccato. L’ha fatto senza rendersene conto, come se fosse immortale e sempre in tempo per recuperare. Poi quel tempo è scaduto, appesantito e invecchiato, con troppe cassanate sul groppone, non l’ha voluto più nessuno. Nemmeno in C.

E allora, gli è rimasta la parola. Cassano parla come se fosse stato ciò che poteva essere. Ma il genio che non sfrutti è come soldi che hai ma non puoi spendere. Non ha costruito, né lasciato niente, se non qualche bella immagine. Diapositive che ricordi ma tieni in un cassetto, che riprendi o che lasci lì per sempre. In quel posto dove resterà lui, dove già è, perché la sua ribalta oggi è dovuta al suo populismo calcistico, al suo essere trash, non alla storia che ha scritto.

Forse perché la storia è scritta dai vincitori, questo Cassano lo sa ma non lo dice. Forse, oggi, lontano dal calcio, a quarant’anni, rimpiange quanto non ha fatto e sapendo di non poter vantarsi di quello, per impegnare le giornate e restare in quell’occhio del ciclone che vede allontanarsi, non ha trovato di meglio per sé che diventare un giullare. Riconquistarsi le folle che solo per le sue gesta sul campo l’avrebbero abbandonato. Allora non mutatelo, lasciato parlare, lo dobbiamo all’uomo. Fatelo almeno fin quando non ci sarà altro di più interessante.

“Un vero ironico non ha mai avuto dalla sua la maggioranza, il buffone sì.”
(Søren Kierkegaard)