Napoli e Genoa, storia di un gemellaggio tra popoli amici
Napoli, Genoa e il gemellaggio più longevo d'Italia. Il tifo calcistico ha unito ancor di più due popoli amici già da secoli.

Napoli e Genova, due città lontane ma vicine da secoli. Da Nord a Sud, l’Unità di quello stivale che emergeva dalle acque del Mediterraneo così variegato era difficile da prevedersi. Eppure, il litorale tirrenico della penisola stringeva in un abbraccio quei due figli, così diversi quanto simili. Napoletani e genovesi azionavano il motore di quella che poi avremmo chiamato Italia.
Nel Cinquecento, Partenope era la seconda città più popolosa del vecchio continente. Una delle capitali più prestigiose, meta ambita da artisti di ogni genere e fiore all’occhiello dei possedimenti dei nobili d’Aragona. L’imprenditoria, il rischio, però, era come è tutt’ora prerogativa dell’ambizioso Nord, che intanto mutava, abbandonando l’organizzazione feudale e spalancando le porte all’intrepida classe borghese. La Repubblica marinara di Genova sperimentò con successo la vita mercantile, approfittando della posizione strategica del proprio porto, e trovò in quella di Amalfi una spalla forte su cui poter fare affidamento. Le pendici del Vesuvio e dintorni strabordavano di ricchezze da smerciare e Napoli divenne tappa fissa prima di intraprendere i viaggi d’affari.
La compenetrazione di genovesi nell’ambiente fu gioviale e fraterna. Nel cuore di via Medina, la “colonia” si costruì anche una chiesetta tutta propria, la Chiesa di San Giorgio dei Genovesi, per dare un punto di riferimento alla propria comunità. Gli intraprendenti e capaci banchieri liguri finanziarono anche una buona parte delle opere pubbliche costruite dal Regno aragonese, come la cruciale via Toledo. Alcuni, inoltre, fanno inevitabilmente risalire proprio a quella frequentazione la nascita culinaria della napoletanissima pasta alla genovese.
Napoli e Genoa, la nascita del gemellaggio
A distanza di decenni, l’abbraccio tra Genova e Napoli si è rinnovato e confermato anche nel calcio. Nell’ultima giornata del campionato 1981/82, i rossoblù si giocavano la salvezza proprio al San Paolo, contro la squadra di Rino Marchesi, già qualificata in Coppa UEFA. Il Grifone si combatteva la permanenza in Serie A con il Milan, il Bologna, e il Cagliari. L’atmosfera a Fuorigrotta ebbe del surreale: al supporto dei circa 3 mila tifosi genoani si aggiunse anche quello di tutti i partenopei presenti allo stadio. Ai napoletani avrebbe certamente dato più soddisfazione la retrocessione del Milan piuttosto che quella del Genoa. Così, spinti da un moto spontaneo, gli ottantamila del San Paolo divennero tutto d’un tratto indifferenti alla propria squadra e appassionati, invece, dalle sorti del “nemico” di giornata.
Dopo il vantaggio fulmineo di Briaschi, sugli sviluppi di un corner ad appena 3 minuti dal calcio d’inizio, il Napoli affievolisce le speranze rossoblù nei primi minuti della ripresa, trovando prima il pareggio con Criscimanni e poi il vantaggio con Musella. A Cesena, intanto, il Milan è riuscito clamorosamente a ribaltare il 2-0 dei padroni di casa. Un capolavoro di “Dustin” Antonelli aveva portato in vantaggio i rossoneri a 8 minuti dal termine. Negli stessi minuti il Bologna soccombeva al 90’ sul campo dell’Ascoli, in un 2-1 che significava retrocessione, mentre il pari con la Fiorentina metteva al sicuro il Cagliari. Il triplice fischio di Cesena-Milan fa partire un principio di festa rossonera, inconsci che il finale è ancora da scrivere. Al Genoa serve disperatamente un gol per portare a casa il punto che metterebbe i liguri in salvo.
E il gol arriva, non senza qualche polemica. Allo scoccare del minuto 85, il portiere del Napoli Luciano Castellini è in controllo totale del pallone dopo un passaggio fuori misura degli ospiti. Dopo un paio di canonici rimbalzi che precedono il rinvio, l’estremo difensore azzurro va per il lancio con le mani verso Ruud Krol, ma nel mentre capita che la sfera gli sfugga goffamente di mano, finendo in corner. Proprio dagli sviluppi di quel calcio d’angolo, i rossoblù trovano la rete del salvifico 2-2 proprio con un napoletano, Mario Faccenda, ventunenne nato a Ischia. A Fuorigrotta può partire la festa. Il Napoli è in Europa, il Genoa resta in Serie A, il Milan sprofonda in Serie B.
Il doppio pareggio e la festa promozione
Il 16 maggio 1982 sancì il punto di inizio di quello che è stato il gemellaggio più longevo della storia del calcio italiano. A rafforzar particolarmente quella fratellanza ci fu sicuramente il doppio scontro della stagione 2006/07, quando le squadre si affrontarono in Serie B. Il primo atto si giocò esattamente 15 anni fa, di fronte ai 60 mila spettatori del San Paolo. La serata si aprì proprio ricordando quel sodalizio nato giusto 25 anni prima, con la tifoseria genoana ad intonare cori insieme alla Curva A e con i due capitani, Cannavaro e Rossi, ad offrire congiuntamente un simbolico omaggio floreale all’ingresso in campo.
Ne vien fuori una partita insipida, per larghi tratti noiosa, senza particolari occasioni né da una parte né dall’altra. Di certo non il match che ci si aspetta da due squadre che sulla carta rientrano tra le favorite per la promozione. Succede tutto negli ultimi istanti di gioco. Prima la sblocca l’arciere Emanuele Calaiò dagli undici metri, spiazzando il genoano Rubinho a sette minuti dal termine. Dall’altro lato, cinque minuti dopo, risponde il brasiliano Leon, con un capolavoro su punizione. Il finale recita 1-1, con le due nemiche-amiche che si spartiscono il bottino. Un solo punto, ma un tassello fondamentale verso il successo finale di entrambe.
L’esito fu lo stesso anche al ritorno, ma le emozioni di quegli istanti furono ben diverse. E anche la partita a dire il vero fu ben altra, perché, ultima di campionato, decideva le sorti della stagione. Lo 0-0 conclusivo fu quasi casuale, considerando le tante occasioni create nel corso dei 90 minuti. La notizia del pareggio finale tra Piacenza e Triestina – una vittoria dei padroni di casa avrebbe costretto il Genoa ai play off – fece partire la festa a Marassi. Il triplice fischio, l’invasione di campo, il delirio dentro e fuori dal campo. Quel doppio pareggio fu il modo migliore per concludere la stagione, l’ulteriore suggello di una fratellanza storica. Napoli e Genoa ce l’avevano fatta, insieme, dopo tanti anni complicati.
Il casus belli e la fine del gemellaggio
Come tutte le storie, anche quella del gemellaggio tra Napoli e Genoa ha avuto il proprio epilogo. Brusco, improvviso, netto, ma a tutto c’è una spiegazione. Il presupposto alla frattura sono le violenze avvenute negli attimi antecedenti di un Inter-Napoli del 26 dicembre 2018. Una folta schiera di ultras nerazzurri, poco più di un centinaio, aveva scelto che per i napoletani quella sera non ci sarebbe stato posto. All’arrivo dei gruppi organizzati della Curva A nei pressi di San Siro, l’inferno ebbe vita. Un fumogeno segnò l’avvio del piano d’assalto. Nello scontro barbaro perse la vita il capo ultras del Varese, Daniele Belardinelli, giunto nel capoluogo lombardo a dar man forte alle “truppe” interiste.
Il casus belli che conduce al capolinea è lo striscione esposto dalla curva rossoblù in occasione di Genoa-Inter. “Ricordiamo un ultras scomparso, RIP Dede”, recitava il contenuto. E la tifoseria azzurra non ha potuto tollerare un tale messaggio, percepito come uno smacco, un tradimento, nonché una mancanza di rispetto. Prontamente, le Curve partenopee hanno provveduto ad esprimere il proprio dissenso verso “questa improvvisa e persistente solidarietà verso una tifoseria che ci ha teso un vile agguato senza nemmeno farsi carico di chiedere come stessero i ragazzi gemellati coinvolti negli scontri”, come sostenuto nel comunicato.
La presa di posizione fu definitiva e inequivocabile: “Non condividiamo questa linea di tendere mani ed abbracciare compagini nemiche colpevoli di aver tolto la vita a dei nostri fratelli di viaggio. […] Pertanto, al di là di ogni perplessità, gli ultras di Napoli delle due Curve comunicano ufficialmente rotto il vecchio rapporto con i genoani”. Dopo quasi 37 anni di fratellanza, Napoli e Genoa sono tornate ad essere due squadre come le altre, indifferenti e impassibili alle vittorie e le sciagure dell’altra. Cordiali e sportive, certo, ma senza quella passione e quel clima di festa che accompagnava gli incroci in campo e, soprattutto, sugli spalti.
Peccato, perché rappresentava un’occasione importante per mostrare come il calcio fosse in grado di estendersi oltre la dimensione sportiva. E peccato, perché era un momento di unione tra Nord e Sud che raramente si vede nell’Italia di oggi. Che peccato.