L’adrenalina del coraggio
L'acrofobia è la paura delle altezze e dei luoghi elevati, come piani alti di edifici, cime di montagne e balconi.

Sarà che mi terrorizza sporgermi sul vuoto da un tornante di montagna a picco sulla vallata o dal terrazzo del grattacielo Fiat della “Defense“, che in linea d’aria guarda l’Arc de Triomphe in quel di Parigi e perfino dal quarto piano della casa natale: è un malessere che non ti spieghi.
In aereo, altro che vuoto, ma non lo percepisci e neppure un lontano sintomo del malessere che Luca imputa a quella volta che durante una gita in montagna, più su di Agerola, dovette passare dal terminale di un sentiero all’altro con un salto di buoni settanta centimetri.
Sotto di sé c’erano novecento metri di…niente. Del danno subìto quel giorno, quasi dimenticato, Luca si è reso conto quando i cugini hanno progettato e attuato un’escursione sul Vesuvio. Nessun problema durante il percorso ‘protetto’ dalla folta vegetazione. Improvviso, l’apparire di uno stretto sentiero, largo non più di quaranta centimetri, addossato alla parete del vulcano e giù, a precipizio, la base del Vesuvio. Se Giorgio, il più grande dei cugini non lo avesse trattenuto, Luca ricorda con terrore che si sarebbe lanciato nel vuoto, attirato dall’insieme di sollecitazioni drammatiche, incoercibili a liberarsene con un salto.
Si chiama acrofobia questa fragilità: è paura dei luoghi elevati, come i piani alti di edifici, le cime di montagne, i balconi. Chi ne soffre manifesta una crisi d’ansia tipica, assalito da angoscia, paura, disagio che rendono intollerabile o impossibile l’accesso a luoghi alti. Luca non si dà pace, soffre della sua debolezza e ancor più dopo aver letto “Il buon nemico Everest” Edmund Hillary primo scalatore al mondo della mitica montagna.
Idee, pensieri successivi su fatica, freddo, stanchezza, e soprattutto pericoli: quella fase dell’ascesa che ha visto Hillary a un niente dal precipitare da una sporgenza della roccia solida a un primo esame, rivelatesi invece fragile. Un volo di quindici metri nel vuoto, il miracolo di agganciare i margini di un piccolo terrazzamento naturale con la piccozza e gli scarponi da ghiaccio.
Luca collega quella parte del racconto di Hillary, che evita di rappresentare in immagini per non soffrire virtualmente di acrofobia, alla sfida ‘disumana’ di Alessia Zecchini, che alla profondità di 105 metri, è la primatista mondiale di assetto costante con pinne. Alessia, “donna più profonda del pianeta”, detiene sei record mondiali in altrettante discipline sei discipline dell’immersione in apnea. Conquistato il primato, ricorda Luca, la “regina degli abissi” lo ha così commentato: “È stato un tuffo bellissimo”.

Luca associa le imprese di Hillary all’exploit della Zecchini, ai lanci spericolati di paracadutisti, ai domatori che mettono la testa nella bocca dei leoni, e agli angeli del circo che si agganciano mani nelle mani al volo e sotto di loro non hanno reti di protezione e si chiede se sia lecito definire le sfide alla morte di super eroi l’eroico contributo a quanti studiano i limiti del potenziale umano per migliorare la vita. Una risposta, non un giudizio definitivo l’ha raccontata un pilota acrobatico della famosa pattuglia venezuelana di Caracas:
“Rischio. Ogni volta che una picchiata, il pericolo di stallo, di schiantarmi è una sferzata di adrenalina e non serve certamente ad allungare la vita, anzi. Eco, credo che chiunque come me sfida i limiti del possibile umano lo fa come un selfie per misurare i livelli di coraggio, di lucida incoscienza, come assumere una droga iper eccitante”.
Luca non ha dissolto i dubbi sul perché di imprese al limite del possibile l’unica cosa certa gli sembra che resti, il rifiuto di visitare Matera, i suoi sassi che i “normali” ammirano dalla collina scoscesa, senza la protezione che sporge con un terrazzo sul suggestivo panorama.