La difficile convivenza tra il tifoso del Napoli e l’effetto Schumacher
Quando Schumacher andava in fuga con la sua Ferrari, la regia lo mollava al suo destino e si occupava del polverone alle sue spalle.
©️ “NAPOLI-SIMEONE” – FOTO MOSCA
Il tifoso del Napoli deve convivere con l’effetto Schumacher. Quando l’asso tedesco della Ferrari andava in fuga e accumulava fior di secondi sui secondi, la regia lo mollava al suo destino e si occupava del polverone che si alzava nel resto del pollaio. In ordine sparso: la lotta per la piazza d’onore; un sorpasso per il quinto posto; un testa-coda; un pit-stop alla pene di segugio.
Ignorare «quel» Michael scatenato non era mancanza di rispetto nei suoi confronti. Era esattamente il contrario: una sorta di celebrazione muta, ascetica, lontana. Non lo si voleva disturbare. Lo stesso dicasi di «questo» Napoli. Nessuno, nell’era dei tre punti (cioè dalla stagione 1994-’95), aveva concluso il girone d’andata con un vantaggio di 12, diventati 13 dopo l’alfieriano 2-1 alla Roma. I meriti, palesi, si celebrano anche così, abbandonando i padroni ai riti della loro opulenza e dedicandosi alle beghe della servitù.
Dalle plusvalenze ai plusvantaggi si corre il rischio che l’indotto, ormai, stimoli più dei risultati. I processi della Juventus più dei «decessi» del campionato. Con Madama sprofondata a meno 15 e con Milano che arranca, hai voglia. Per carità, qui non si parla «solo» di successi: si allude, soprattutto, alla bellezza delle trame, all’ebbrezza degli scarti. La «macchina» di Luciano Spalletti le ha suonate a tutti, eccezion fatta per l’Inter del 4 gennaio. Il 5-1 inflitto alla «fu» Juventus ne incorona il perfetto mix fra telaio, design e motore, al netto della guida rotonda che l’abate di Certaldo ha sfoderato e conserva.
Il popolo ragiona di pancia, si lascia trasportare, sogna a occhi aperti (non si sa mai), l’ultimo scudetto risale all’epoca di Diego Armando Maradona, alla stagione 1989-’90. Bigiotteria di un secolo fa. Ecco perché si agita e vigila. Ecco perché, un po’ per la carenza di emozioni (pregresse) e un po’ per la fragranza del «giuoco», vorrebbe che ne scrivessimo di più, come se finora avessimo frenato, esitato, boicottato. L’appassionato «sente» che il bieco e freddo Nord tratta il Napoli per dovere e non per piacere, costrettovi dal naufragio del Titanic-Juventus e dalle falle delle milanesi.
Calma. Le supremazie che diventano dittature, per saltuarie o simpatiche che siano, appagano ma non sempre pagano. Se poi sono così sgargianti, così trancianti, inducono allo sbadiglio invidioso i titolisti delle redazioni soggiogate. Il Napoli è Schumi che sta «doppiando» un sistema, non semplicemente gli avversari. Proprio per questo, però, non ci si deve meravigliare se il regista stacca dai suoi alettoni e zooma sulla ressa che anima la zona Champions. La notizia non è il cane che morde l’uomo. È l’uomo che morde il cane. È il Napoli battuto a San Siro, non il Napoli imbattuto negli altri diciannove Gran premi. Vallo spiegare ai masanielli della curva, agli ultras che reclamano un risarcimento di enfasi per i torti antichi, le imprese sfiorate, i miracoli invocati (se non, addirittura, negati).
Viceversa, è il massimo del riconoscimento. La sindrome, improvvisa e seccante, di essere «troppo» per tutti. Durerà, non durerà? Tempo al tempo. La cinepresa indugia sul cicaleccio fuggente di un ingorgo che non riguarda la regina ma il corteo, lo strascico. Sul Napoli-Schumi va solo, ogni tanto, per verificarne la velocità di crociera, con i gufi nordisti che pagherebbero per una foratura, dal momento che «cca nisciuno è fesso» e le tirature hanno bisogno di coccole, di ossigeno. È la noia dell’evaso che, in base al bacino di riverenza, censuriamo in tipografia e invidiamo al bar.