Il calcio in Italia è sul punto di non ritorno

Oggi il calcio italiano è una foto sbiadita nelle pagine della storia. È vecchio, impolverato, non vale più niente. C'è solo una soluzione.

Articolo di Lorenzo Maria Napolitano31/10/2022

© “PALLONE – ITALIA” – FOTO MOSCA

Qual è oggi la foto del calcio italiano? È un’immagine sbiadita nelle pagine della storia. Un ritratto sfuocato. Un bene prezioso messo in cassaforte per troppo tempo e riesumato per caso: ora è vecchio, sporco, non vale più nulla. Parlerebbero di inflazione alcuni, anche perché oggi va molto di moda, ma non è il fenomeno giusto per descrivere il motivo della decadenza del calcio italiano. E non solo la Serie A, ma l’intero movimento calcistico italiano. Arretrato, lasciato a sé, indipendente, una sorta di terra di nessuno. Andare allo stadio prima era un piacere. Gioia per gli occhi, un canto di passione: pomeriggi che per quanto caldi non sopprimevano la voglia di calcio, di festa. Si guardava uno spettacolo e, perché no, qualcuno si dedicava anche ad un po’ di sballo.

In Italia il calcio sembra seguire il dogma della selezione naturale, nella sua dimensione interna ed esterna. Però, se la prima non riguarda soltanto il Bel Paese, la seconda trova in questo la sua linfa. È un calcio dettato dalla legge del più forte, gli stadi non sono più teatri delle giocate di Baggio, Totti e Del Piero ma luoghi di ritrovo per mostrare la propria superiorità rispetto ad altri gruppi di tifosi. Come se la carenza di campioni si fosse tradotta nell’esigenza di manifestare attraverso altri mezzi la propria egemonia.

Non c’entra Nord, Sud, Ovest o Est, tanto l’Italia è stata unita soltanto sotto un punto di vista convenzionale, o quando gioca la Nazionale, a meno che Donarumma non decida di cambiare squadra, o Bonucci, o chicchessia. L’Italia è tanto diversa in ogni suo angolo quanto unita; unita sotto il punto di vista dell’involuzione rispetto alle altre nazioni europee. A Firenze, culla del Rinascimento, l’Atene d’Italia, un bambino viene obbligato ad indossare la maglia della propria squadra al contrario mentre l’allenatore della sua squadra viene minacciato da parte di un tifoso che, incredibilmente, è anch’esso allenatore.

A pochissime ore di treno, roba che un aereo non riuscirebbe nemmeno a completare la fase di partenza, un intero, intero, settore viene evacuato ad una velocità supersonica. La terra non vibra, non si avverte nemmeno un gran calore, cosa succede? È morto il pluripregiudicato capo ultrá dell’Inter, dunque alcuni membri della curva si sentono pienamente legittimati a sbattere fuori dal settore famiglie, ragazzi e bambini per… per? Questo è stato denunciato al giornalista Fabrizio Biasin, il quale, giustamente, ha aggiunto: “Lo stadio è di tutti, la squadra è di tutti, non esistono tifosi di Serie A e di Serie B. Tutti hanno stesso diritti ed è triste doverlo pure specificare”.

Sempre restando nel presente più vicino, a Napoli, decantato regno della Sirena Partenope, i tifosi georgiani, accorsi dopo migliaia di chilometri macinati per giungere allo stadio, si vedono scippati dalle mani la maglietta del loro idolo Khvicha Kvaratskhelia. È paradossale: la Georgia oggi impazza per il Napoli, il 77 si sta affezionando alla città, e qualcuno ritiene giusto compiere gesti del genere. Poi, però, ci si sorprende se i tifosi delle squadre europee vengono allertate prima di entrare nel grandioso Bel Paese. Siamo rimasti nel circoscritto ambiente stadio, contesto attuale, ma chi è che non ricorda le minacce di morte indirizzate al figlio di Andrea Pirlo? E i continui insulti rivolti a Mario Balotelli? “Ci sono ovunque“, qualcuno potrebbe rispondere. Villareal-Barcellona, un tifoso del Submarino Amarillo lancia una banana verso Dani Alves, che mangia il frutto; due giorni dopo ritiro tessera e daspo per il soggetto che, una volta individuato, viene pure arrestato. Fine.

E le proteste degli anni passati verso le squadre lontane dalla massima serie? Qualche video esemplificativo

Torino, Milano, Piacenza e Firenze, da Napoli fino a Bari. Gli italiani si dimostrano coerenti, su questo non c’è dubbio.

“In Italia serve il modello inglese”! Null’altro che un riparo dietro i cespugli della convenienza

Sì, bello che in Inghilterra non si parli più di violenza sugli stadi, anche la FA Cup che coinvolge tutte le squadre del paese, e il modo in cui si vive il calcio dilettantistico? Bello, bellissimo. Perché l’Inghilterra sembra la Shangri-La di James Hilton? Non è soltanto merito della Lady di Ferro, c’è un’evoluzione sociale alle spalle. Persino Malagò cadde in errore invocando Margaret Thatcher quando si ritrovò a commentare i fatti di un triste Fiorentina-Napoli del 2014. Ma il modello inglese non è la ricetta segreta per realizzare una salsa aromatizzata. Dietro il fantastico modello inglese ci sono diversissimi fattori che hanno contribuito, nel corso di un trentennio, alla sua perfezione. È storia di movimenti nati dal basso e, come tali, non sono soltanto rose e fiori. Non è perfezione. Il trapianto, poi, è qualcosa destinato a non funzionare mai all’interno di una società. Non è il modello inglese a funzionare, non è quello che serve all’Italia. Che siano anni luce avanti sotto numerosi punti di vista, però, è ineccepibile. Ma d’altronde, i panni sporchi si lavano in famiglia, no?

No, non diciamoci che in Italia il calcio viene vissuto in modo diverso, perché questo è tutto tranne che calcio. Inoltre, la palpitante passione spagnola, la passionale esaltazione inglese verso il football, non ha nulla in comune con il rapporto tossico italiano. E questo, non può che dispiacere. In Italia il calcio non fa che cascare inesorabilmente verso l’oblio. Cos’hanno in comune il Bernabéu, il Camp Nou e il Wanda Metropolitano con gli stadi d’Italia? Perché il sogno di un tifoso è guardare una partita ad Anfield, all’Old Trafford, a Stamford Bridge o a Webley? Perché in Italia non ci sarà la possibilità di valorizzare fin quando qualcuno non deciderà di epurare una determinata categoria di persone. Enrico di Navarra diceva: “Parigi val bene una messa“. E se qualcuno iniziasse a prendere un provvedimento drastico? E se si ripartisse da zero? Tanto, toccato il fondo non c’è altra via che rilanciarsi. In Italia è necessario risorgere dalle ceneri per accendere il fuoco della vittoria, stavolta non all’interno del rettangolo verde, ma per il suo bene. Per guardare, tra qualche decennio, una foto in 4k.