© “ESULTANZA NAPOLI″– FOTO MOSCA
Al settimo si riposò il Signore. Alla settima non ha avuto alcuna intenzione di farlo il Napoli, nonostante gli inviti di Commisso, le fatiche d’Europa e una buona Fiorentina.
Ha giocato un gran calcio la Viola d’Italiano, tanto grande da farci credere che gli azzurri non sarebbero potuti uscire vittoriosi dal Franchi. Grande da far emergere tutti i difetti degli avversari. Ma è stato un calcio breve – proprio come già successo in precedenza con Roma e Inter – commisurato, in fondo, alla dimensione dei toscani – media tendente all’alta.
Tendente e non possibile per organico e, soprattutto, per ideologia. Italiano è un tecnico capace – non avrebbe, altrimenti, potuto dare un’identità cosi precisa ad una squadra smarrita da anni in cosi poco tempo – ma è caparbio, dunque un po’ ciuccio (come ci dicevano a scuola). Lo è come tutti quelli che ostinatamente mettono il gioco davanti al risultato, che si vergognano di calibrarsi sui limiti e i pregi degli avversari.
Non ha abbassato la sua difesa di un centimetro per affrontare Osimhen e lo ha pagato a caro prezzo. Eppure era presente e protagonista la scorsa stagione mentre il nigeriano scorrazzava alle spalle dello Spezia, come un desperado noto in tutto il west. Di quella lezione il tecnico avrà perso il foglio con gli appunti.
Osimhen, proprio lui – insieme ai compagni di spina dorsale Koulibaly e Anguissa, ha avvicinato durante “l’ora più buia” il Napoli alla vittoria. Lo ha fatto convincendo Quarta (autore della rete del vantaggio viola) che stenderlo sarebbe stato meno estenuante che affrontarlo. Logorio che avrà probabilmente provato anche Insigne sul dischetto, diventato per il 24 una seduta dal dentista. Ci ha dovuto pensare Lozano ad estrarre il dente e il coniglio dal cilindro, ricordandoci che in campo c’era anche lui.
Parlavamo di difetti e, in effetti, il Napoli fino a quel momento li aveva tutti sul viso come dell’acne bruttissimo. Difesa passiva, linee schiacciate, seconde palle, velocità di manovra, mancanza di fisicità. Andava il secondo volume di Napoli-Spartak, o forse la migliore risposta agli incubi e agli scetticismi. Perché Spalletti può esser tutto meno che ciuccio, un uomo di campagna asseconda le stagione e lo ha insegnato ai suoi.
Durante la tempesta gli azzurri hanno mantenuto le certezze e dimostrato – se ancora ce ne fosse bisogno – di essere squadra responsabile e matura: saggia. La sofferenza fa parte del calcio e dei momenti di una partita e a seconda di quelli si viene fuori diversi.
Non è un caso se i tre stress test della stagione (Juventus, Leicester, Fiorentina) sono stati decisi in rimonta. È convinzione non un caso.
Autorevolezza e pragmatismo hanno avuto la meglio sul resto e sugli altri. Punizione dalla 3/4, Zielinski alla battuta, schema in buca, Rrhamani a realizzare. Sono già sette i calci piazzati insaccati, e questa è un’altra novità sotto il Vesuvio. Un limite superato.
A seguire il vantaggio, in ciò che restava per arrivare al triplice fischio, un altro pò di Viola colorava un quadro già finito, pronto da aggiungere alla collezione “Orgoglio d’Europa” di Spalletti. Nelle top 5 leghe nessuno è a punteggio pieno, dopo le cadute di PSG e Bayern.
Meritano una nota finale Insigne e gli ululati.
La reazione al cambio del primo è stata fuoriluogo. Conoscendo i “polli” gli si consiglia di non ripetersi.
Ai secondi, a quelli che se ne macchiano teniamoli fuori dagli stadi per sempre, meritano lo zoo.
Il Napoli asseconda le stagioni

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