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Da Quarto a Milanello, la favola di Zazzaro

Da Quarto a Milanello, la favola di Zazzaro

© “UN’AZIONE DI SORMANI” – FOTO ARCHIVIO PERSONALE DI DAVIDE MORGERA

Se n’è andato in silenzio un paio d’anni fa dopo una brutta demenza senile e vari acciacchi ma a Quarto tutti parlano ancora di lui. Almeno quelli della vecchia generazione, quelli che hanno vissuto il calcio ruspante e romantico degli anni ’70, chi lo ha visto giocare prima che prendesse un treno con destinazione Milanello, lui che parlava un misto di puteolano e napoletano. Vincenzo Zazzaro, la sua storia non può non avere i contorni di una favola. Di quelle belle,ovvio. 

Corre l’anno di grazia 1966. Un ragazzino poco più che adolescente gioca in strada con gli amici dopo cinque ore di scuola in un posto che i quartesi denominano la “Vasca”. Le porte sono fatte con le classiche pietre o, in alternativa, con i maglioni lasciati lì a mò di palo, il pallone è una sfera di cuoio che ha una forma vagamente sferica. Enzo è il più bravo della compagnia, ha indubbie qualità e con la palla sa fare tutto, difende e attacca, segna e dribbla come un vero giocatore. Quando è il momento di scegliere le squadre tutti vogliono Enzo, tutti sperano di assicurarsi il piccolo fenomeno al primo giro della conta. In quel periodo, però, il Quarto, che fa la Prima Categoria, lo nota subito e lo getta nella mischia vincendo quasi tutte le partite. Si capisce che quella non è la sua dimensione. L’anno dopo lo acquista la Puteolana. Il sogno continua, il ragazzo ha solo 18 anni e sa che il Milan, la sua squadra del cuore, lo segue. I rossoneri così decidono di prenderlo per aggregarlo alla Primavera con la quale disputa due finali del torneo di Viareggio. Nel 1971 arriva poi il gran debutto nel calcio che conta, prima in Coppa Italia nella finale contro il Torino e poi il battesimo in campionato il 7 novembre 1971 a Genova contro la Samp. Se non è una favola questa, quella di un ragazzo partito dai polverosi e gibbosi campi di provincia e arrivato a San Siro, la “Scala del calcio italiano”, manca poco. Nell’aria continuiamo a sentire echi dei fratelli Grimm e di Andersen, il ranocchio che diventa principe, il brutto anatroccolo che diventa bello, il giovane meridionale meritevole che ce la può fare.

Vincenzo Zazzaro, classe 1951, che nelle foto appare con il viso eternamente imbronciato sotto un ciuffo di capelli che va per i fatti suoi, è stato l’unico giocatore di Quarto che abbia raggiunto i massimi vertici della serie A fino ad oggi. Zio di Enrico, secondo portiere dietro Garella nel Napoli 1985-86, Enzo giocò in un periodo dove il talento ed i fondamentali erano qualità indispensabili per spiccare il grande salto. Un predestinato, si dice così oggi e forse si diceva così anche allora. Al Milan, dove Cesare Maldini (allora secondo di Nereo Rocco) lo battezzò “Zazzà“, arrivò quando Rivera era il mattatore assoluto, il più forte centrocampista italiano. Non fu comprato per sostituire l’intoccabile “Abatino” ma per farlo diventare il suo porta borse, il porta borraccia, colui che doveva rubare i palloni dalle grinfie degli avversari e poi passarla a Rivera. Una via di mezzo tra Benetti e Biasiolo. Al resto avrebbe pensato lui, il “golden boy”.

Enrico Zazzaro – foto archivio personale di Davide Morgera

Proviamo adesso a riavvolgere il nastro di questo film, ad immaginare cosa abbia sentito dentro uno “scugnizzo” come Zazzaro quando si prospettò la possibilità di giocare al San Paolo, contro il Napoli, in uno stadio che si trova a poco più di 10 km da casa sua. Ecco, proviamo a fantasticare e a vagheggiare ma non sappiamo cosa può aver avvertito dentro di sè Enzo quando si accomodò in panchina nel primo tempo e vide 70000 napoletani sugli spalti. Quando poi il Milan comunicò all’arbitro che sarebbe uscito Rivera e sarebbe entrato lui, alla gente di Quarto non sembrò vero sentire Ameri alla radio: “Gentili radioascoltatori, nel Milan il giovane Zazzaro subentra a Rivera ad inizio ripresa…“. Dunque, tra le 11 presenze in serie A di Zazzaro va annoverata anche quella della partita con gli azzurri. 

Un occasione di Vianello – archivio personale di Davide Morgera

La vigilia di quella gara fu piuttosto movimentata con Benetti che, nell’albergo di Agnano che ospitava il Milan alla vigilia, perse le staffe e schiaffeggiò due tifose napoletane dell’Inter che lo avevano ingiuriato con cori poco edificanti. In campo, il giorno dopo, lo sportivissimo pubblico di Napoli non fischiò Benetti, il quale fece la sua onesta partita senza commettere i suoi soliti falli. Del resto era una faccenda tra…milanesi, cosa importava ai napoletani di queste beghe?

Che Napoli era quello del 9 gennaio del 1972? Le formazioni. Da un alto i partenopei si schierarono con la difesa base ma, per il forfait di Manservisi, fermo per un dolore inguinale, Chiappella si inventò Vianello con il numero 11 come finta ala. Sul terreno di gioco c’erano ben tre napoletani, tutti a centrocampo: Montefusco, Improta e Juliano. Dall’altra il Milan, davanti al “Ragno Nero” Cudicini, mise Anquilletti, Sabadini, Rosato e Schnellinger, a centrocampo Biasiolo, Benetti, Rivera e Sogliano, con Bigon e Prati di punta. Arbitrò Pieroni. Fu una gara dove il Milan dimostrò di voler portare a casa un punto e così fu. Le occasioni migliori per sbloccare il risultato furono proprio di Vianello per il Napoli ma Cudicini si confermò uno dei più forti portieri italiani almeno in due occasioni. Rocco tentò invano di scuotere la squadra facendo uscire un pessimo Rivera per Zazzaro ma il ritmo della gara non mutò di molto. Il pubblico del S. Paolo uscì soddisfatto dallo stadio perchè il Napoli aveva tentato di vincere in tutti i modi ma alla fine dovette accontentarsi del pari.

Vianello e Benetti escono dal campo – archivio personale di Davide Morgera

Quell’anno gli azzurri non andarono oltre un ottavo posto finale anche per la lunga sequela di pareggi. La divisione dei punti, a quei tempi, non era tanto invisa alle squadre se consideriamo che con una perfetta media inglese (vittoria in casa e pari in trasferta) si poteva tranquillamente vincere il campionato a 45 punti nelle 30 gare totali. Ed allora, è questa la sensazione che si ha rileggendo la cronaca di quella partita tra azzurri e rossoneri, possiamo ben dire che il Milan a Napoli giocò per il pari. Peccato che i calcoli di Rocco furono vanificati alla fine del torneo da una Juventus che vinse lo scudetto per un punto in più, 43 contro 42.

Zazzaro, comunque, non fu la classica meteora perchè riscuoteva la fiducia di Rocco che lo lanciò anche in Europa alternandolo con Magherini. “Ciccillo”, questo il soprannome che gli avevano affibbiato i compagni, toccò il suo apice a Berlino disputando la più bella gara in rossonero contro l’Herta nella Coppa U.E.F.A. 1971-72. Giocò poi altre gare approfittando della lunga squalifica di Rivera che dopo un Cagliari-Milan si buscò 6 giornate dalla disciplinare per aver fatto polemiche dichiarazioni contro Michelotti di Parma. Dopo quel campionato, condito anche da due speranzose presenze nella Under 23 di Bearzot, la mezzala di Quarto fu spedita in giro per l’Italia dove l’unica costante fu il colore amaranto. Vestì, infatti, le maglie di Reggina, Arezzo e Salernitana. Tornato in patria, mise su famiglia, diventò padre di quattro figli e iniziò con una scuola calcio che portava il suo nome proprio a Quarto. Un’attività che ha gestito fino al 2013 prima di appendere per la seconda e definitiva volta le scarpette al chiodo. Quando lo andai a trovare mi mostrò con orgoglio le foto con i campioni del Milan e la rivista “Forza Milan” con le sue più belle partite. Per me erano cimeli, ricordi molto personali. Eppure Don Vincenzo mi disse, “prendili, fai quello che devi fare e poi me li riporti”. Malgrado non mi avesse mai visto in vita sua. La settimana dopo, puntualmente, gli portai indietro tutto e lui, con uno sguardo, mi fece capire che avevo ben ricambiato la sua fiducia.

Oggi, quando passò dalle parti della sua vecchia scuola calcio, mi chiedo sempre : “Dove sarà finita quella figurina Panini di Zazzaro?”.

Figurina di Zazzaro – archivio personale di Davide Morgera

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