Lo diceva Johan Cruijff quando vinci perdi sempre qualcosa. E l’Italia – caduta ieri contro la Spagna dopo 37 partite utili – qualcosa ha perso. Una partita, certo. Un pizzico di fortuna. Un quarto d’entusiasmo e fame. Le intuizioni “apartitiche” del suo allenatore. La capacità di non farsi male da soli.
Erano forti gli altri. Tanto di cappello a Luis Enrique che – nonostante sia criticassimo in patria – sta costruendo le basi di una Nazionale che avrà futuro. Impavidamente lo schiera già in campo. Basta guardare Gavi, a 17 anni gioca con le pantofole di un veterano. Ma anche Gil, Pino, lo stesso Ferran. Generazione Z plasmata e pronta nell’idea di calcio che l’ha partorita.
La partita
Erano forti gli altri ma forse non più di noi. I noi dell’Europeo, ma anche di ieri. In parità numerica l’Italia ha concesso – oltre lo sterile possesso – solo due occasioni alle Furie: la rete e la quasi “papera” di Donnarumma. Sulla prima eravamo posizionati male di reparto ma l’errore è comunque di Bastoni in controllo ma fuori tempo, molle, scoordinato, non a livello.
Due occasioni se l’è anche create in contropiede: il palo di Bernardeschi, il gol divorato da Insigne.
Lo scenario è cambiato al minuto 42’ quando Bonucci – già ammonito – come una matricola si è fatto ingolosire dal saltare col braccio largo in faccia all’odioso Busquets.
Il resto era quasi tutto scritto. Doppio vantaggio (sempre con Ferran), dominio territoriale rosso, e azzurri di cuore a tentare il miracolo – mezzo confezionato da Chiesa (un’ira di Dio) in collaborazione con Pellegrini.
I peccati del Mancio
Il risultato è che l’Italia manca la Finale di Nations League e la Spagna l’agguanta. Ci sarebbe potuto essere un finale o una Finale diversa. Ad esempio se Mancini non avesse fatto ancora il Bearzot o il Lippi. Il primo – dopo l’82 – mancò l’Europeo dell’84 e sacrificò il Mondiale dell’86, il secondo in Sudafrica ci fece vergognare di noi stessi, per comune denominatore: la riconoscenza.
Il torneo salutato ieri è poca roba a confronto – e magari servirà in vista del Qatar – ma il tecnico ha sbagliato l’undici per affidarsi agli eroi, e per salvaguardarli.
Ha tenuto in panchina Chiellini per averlo fresco in Finale. È stato chiaro sin da subito che senza il Capitano una Finale non l’avremmo giocata. Bastoni ha fatto davvero male, tranne qualche discesa e un intervento disperato da ricordare negli ultimi minuti.
Ha lasciato fuori Pellegrini – il centrocampista italiano più in forma della Serie A – per affidarsi a un Verratti che indossava il mantello dell’invisibilità. Impalpabile come il compagno di reparto Barella, preferito ad un Loca sulle ali dell’entusiasmo. Tra l’altro all’interista era stato affidato il compito di prendere Busquets in fase di impostazione. Una mezz’ala su un mediano che gli gioca a 10 metri, ci è arrivato – per forza di cose – sempre in ritardo. Forse era il caso di affidare il blaugrana alle cure del regista o del falso nueve.
Falso nueve o falsissimo, fake nueve per come è stato interpretato da Bernardeschi prima e Insigne poi. Ma c’è poco da dire, qui il Mancio non si è fidato di Kean ma come dargli torto?
Ci sarà tempo per ripensare alla serata e alle scelte. Ci sarà tempo per riorganizzare una vittoria. Ci siamo fatti mali da soli, ma questa Italia continua ad essere piena di talento.
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