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Come gioca il Napoli di Spalletti?

Spalletti

© SPALLETTI – FOTO MOSCA

Napoli-Verona brucia ancora. Sono passati mesi dall’ultima partita della scorsa stagione giocata dai partenopei e quel pareggio, costato agli ex uomini di Gattuso la Champions, è ancora prepotentemente presente nei cuori dei tifosi, tanto lo è stato in questa estate da attenuare ogni velleità intorno al nuovo Napoli di Spalletti.

I due ritiri (Dimaro e Castel di Sangro) hanno vissuto di un’atmosfera pesante e, probabilmente, sconosciuta da queste parti. Complice la pandemia, la lontananza dagli stadi e dai giocatori, sempre più protetti, l’insoddisfazione per i risultati e per il mercato, le fratture tra club e tifosi e quelle interne ai supporter stessi, hanno assunto le fattezze di immensi canyon. Ci si è divisi su tutto, sui mancati acquisti, sulla questione maglie, sul rinnovo di Insigne, sulla durata dell’idillio ADL-Spalletti e, addirittura, sull’arrivo di Juan Jesus (un quarto difensore!).

Si è parlato poco di calcio

Si è finiti a parlare poco di calcio, eppure di calcio ne abbiamo visto. Bassa Anaunia, Pro Vercelli, Bayern Monaco, Wisla Cracovia, Ascoli e Pescara: sei sono state le amichevoli affrontate in pre-season. Bilancio positivo: sei vittorie, due gol subiti. Poi subito la nuova A bagnata da un doppio successo.

Spalletti ha lavorato molto e bene, continua a farlo, lo ha fatto a scaglioni sui vari reparti, per meticolosità e per esigenze. Si è affidato a Calzona, collaboratore ai tempi anche di Sarri, per creare solidità difensiva. Ha rispolverato le sedute di tattica di individuale per rendere la sua squadra più moderna e reattiva. Tante sono le idee venute fuori.

Eppure, in pochi si è accesa quella curiosità che ti porta a chiedere “Come giocherà il Napoli di Spalletti?”, “Quanto sarà diverso da quello di Gattuso?”, “Come evolverà durante la stagione?”.
Avrebbe dovuto perché non basta la conferma di un 4-2-3-1 per spiegare tutto, e quanto stiamo vedendo non è uguale a quanto vedevamo.

Il Napoli di Gattuso

L’ultimo Napoli, quello di Ringhio, era una squadra incompiuta, mai riuscita davvero ha trovare un’identità tecnico-tattica intorno ai sui principi chiave: il possesso palla e il pressing avanzato, divenute col passare del tempo due forze opposte.

Il gioco di Gattuso era volto al dominio del possesso da impostare dal basso. L’obiettivo era portare gli avversari all’interno della propria aerea e metà campo per sfruttare successivamente gli spazi che si sarebbero aperti alle loro spalle. Obiettivo raggiunto solo in parte, forse come mera cifra numerica: la percentuale di possesso palla media degli azzurri in campionato è stata del 54%, solo il Sassuolo (58%) e la Juventus (55%) hanno fatto meglio. D’altra parte di concreto si è cavato poco, sarà per le defezioni, per il nuovo modo spregiudicato di difendere delle piccole e/o per limiti individuali.
Il dominio del gioco e degli avversari è rimasto basso, incapace di accompagnare gli azzurri oltre il Rubicone dove c’è la posta in gioco: il terzo possesso della Serie A è stato il settimo per palloni giocati nel campo avversario.

Nel campo avversario, inoltre, bisognava, almeno negli intenti, restarci per recuperare palla appena il possesso fosse perso. Non applicare questo mantra difensivo avrebbe fatto crollare il progetto tattico di cui sopra e, in effetti, cosi è stato. Il modo di intendere il calcio di Gattuso e della sua squadra ha vissuto di luce intermittente per un corto circuito evidente: costruire alla spagnola e difendere all’italiana. Un corto circuito che ha finito per togliere tempi e spazi alla manovra e coraggio ai ragazzi.
All’arroganza di volersi assumere il dominio territoriale giocando la palla deve corrispondere quella di riprendersela subito a tutto campo e non la prudenza, quella di rimanere a controllo degli spazi e dell’area di rigore per poi ripartire.

Il Napoli di Spalletti

Per ripartire, invece, Luciano Spalletti ha scelto subito di abolire l’impostazione dal basso, il nuovo assetto prevede verticalità e immediatezza. Le quattro maglie di difesa non sono più utilizzate tutte per costruire, solo due, quelle dei centrali, hanno il compito di portare velocemente la sfera al play basso. Accanto a questo i due interni ad altezze diverse del campo, il primo è spesso vicino a fare da appoggio, l’altro può essere mezzala, ma anche seconda punta, ed è deputato insieme ai due esterni e al centravanti di risalire il campo per via centrale e trovare velocemente l’imbucata.

In questo modo di fare troviamo la prima novità, se il possesso palla di Gattuso tendeva a sviluppare attraverso triangolazioni esterne che tendevano al centro, l’impostazione offensiva di Spalletti prevede il gioco laterale soltanto in seconda battuta. Si abbatte il coinvolgimento dei terzini all’azione, per ridurre al minimo il tempo passato nella propria metà campo. Nell’ultimo terzo di campo, invece, la produzione è affidata all’80% alla libertà creativa delle ali (vd. Politano, Insigne e Lozano) che convergono verso il centro a cercare combinazioni strette con la punta o di premiare i movimenti degli uomini alle loro spalle.

Nell’approccio difensivo la grande novità

Per quanto riguarda la fase difensiva l’impressione è che non vedremo sempre lo stesso spartito. Se si attacca in velocità, ci si può difendere in maniera programmata. Le indicazioni dei ritiri (ma anche l’ultimo Genoa-Napoli) fanno pensare ad una protezione moderna volta ad assediare gli avversari, con una difesa molto alta con i piedi sulla linea di centrocampo pronta sempre a scappare all’indietro quando previsto. Le amichevoli estive però ci hanno detto anche altro, sia con il Bayern che con il Wisla ad esempio abbiamo visto gli azzurri cedere il possesso, adattarsi senza avere il bisogno di venire a patti con il proprio stare in campo o uscire dal piano tattico.
Questa è la grande novità di Spalletti: una squadra capace di gestire avversari differenti in modo differente con sicurezza, con un’identità di squadra che al mutare delle condizioni non muta essa stessa.

Insomma il Napoli che sarà vuole essere uno e molteplice ma sicuramente non un disegno a metà.

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