© “SENEGAL – KOULIBALY” – FOTO MOSCA
Il Senegal ha vinto. Ai rigori, con un po’ di fortuna, ma ha vinto. La Coppa d’Africa, sfiorata in un paio di occasioni, ora appartiene ai Leoni della Teranga. Dove Teranga è un’espressione wolof, la lingua locale, per indicare ospitalità. Il Senegal aveva toccato il suo apice nel mondo del pallone esattamente vent’anni fa, quando ai mondiali nippo-coreani ridicolizzò i campioni della Francia, facendosi strada fino ai quarti di finale. Poi il vuoto, le delusioni, i fallimenti. Dalle parti di Dakar non si parlava quasi più di calcio. C’era amarezza e scetticismo sulle possibili imprese della nazionale. Tant’è che il calcio venne soppiantato come sport nazionale dalla lotta. All’occhio del profano il “laamb”, come si chiama in lingua wolof, è un misto tra rito, spettacolo e competizione. In Senegal viene vissuto alla stregua di un ritorno intimistico tra le braccia delle divinità ancestrali che regolano la natura, ma vanta il pubblico di uno sport agonistico a larga diffusione.
La stagione dei combattimenti inizia a ottobre e si chiude a maggio, il caldo dei mesi estivi risulterebbe intollerabile. Ogni duello dura pochi minuti, lo scopo è quello di mettere a terra l’avversario. Ciascun atleta è tesserato da un team che è riconducibile a politici (ministri e parlamentari) o imprenditori. Il campionato è sponsorizzato dalla compagnia telefonica francese Orange e da una serie di bibite energetiche di produzione locale. Negli anni sono nati due canali tv satellitari monotematici. Per ventiquattr’ore vengono mandati in onda incontri e interviste ai principali protagonisti del ring. Il resto dell’informazione spetta alla carta stampata, presente nelle edicole con quotidiani dedicati al laamb. Poi naturalmente c’è il merchandising e le scommesse. Persino nella schedina figurano gli incontri più importanti del fine settimana.
Il calcio era stato relegato in un angolo, il più lontano possibile dai riflettori. Meglio la lotta, che ha riempito gli stadi, che ha consacrato e celebrato eroi e che ha generato uno spettacolo entusiasmante. Il combattimento, che si svolge in un ring di sabbia, viene anticipato da un miscuglio di riti e da un insieme di gesti. I lottatori, accompagnati da aspiranti stregoni, si immergono in lozioni di acqua, farina e radici per rendersi invincibili, e inscenano balli frenetici per intimorire l’avversario.
Attorno alla lotta ruota un business da far tremare i polsi. I compensi per i vincitori degli incontri sono elevatissimi. Possono raggiungere persino i 300mila dollari, un dato discrepante in un paese dove la disoccupazione sfiora il 60%. Eppure tutti sognano di diventare come Yakhya Diop Yekini quasi 2 metri per 130 chili di muscoli. È stato lui per anni il re del laamb. Per ben due volte incoronato sportivo dell’anno. Il soprannome è un personale omaggio al monumentale centravanti di calcio nigeriano Rashidi Yekini, scomparso prematuramente nel 2012, e protagonista nella sfida di Boston del 1994 contro l’Italia di Sacchi, quando Roberto Baggio salvò gli azzurri da una clamorosa eliminazione mondiale. Yekini, come Guy Baobab o Ndao Tyson, hanno monopolizzato l’attenzione e combattuto a mani nude, come se quelle mani imbrattate di sabbia e sudore fossero un salvacondotto per uscire dalla povertà. Questo è stato davvero, per quasi quattro lustri, il pensiero di molti senegalesi.
Tutto però sta cambiando grazie al successo del Senegal in Camerun, ma l’inversione di rotta era già in parte avvenuta quando la nazionale si qualificò ai mondiali di Russia del 2018, trovando la finale l’anno dopo in Coppa d’Africa, poi persa al Cairo contro l’Algeria. In Russia, Egitto e Camerun lui c’era. È l’uomo che assieme a Sadio Mané ha ricollocato il calcio in vetta alle preferenze dei senegalesi, è Kalidou Koulibaly, il gigante d’ebano, il gigante buono per il suo impegno nel sociale, l’insostituibile sentinella del fortino del Napoli. L’uomo che De Laurentis è riuscito a trattenere nonostante le richieste di mercato. Il perno nero, assieme ad Anguissa in mezzo al campo e Osimhen in attacco, su cui costruire le fortune di una squadra che sogna il tricolore in condizioni normali. Qualcuno si domanderà e nel 1987 e nel 1990? All’epoca c’era un extraterrestre. Io parlavo di condizioni normali.
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