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L’agrodolce inizio delle italiane in Champions

L’agrodolce inizio delle italiane in Champions

Malmoe è lieve ad Allegri e ai suoi fedelissimi, lo è l’inizio della Champions. Vince la Juve. E questa di per sé è già una notizia. La seconda è che non subisce reti, non accadeva dalla scorso marzo. I bianconeri vivono una partenza timida, sembrano un uomo ferito dalla vita, che della vita non si fida più. Gli avversari – più che modesti, specifichiamolo – porgono il possesso quasi subito, ma dall’altra parte c’è resistenza a prendersene carico.

L’impressione è che i due anni passati a cercare di dominarlo – il possesso – abbiano lasciato la consapevolezza di non esserne capaci.
Consapevolezza, probabilmente, condivisa con lo stesso Allegri, che sta costruendo una squadra la quale rifugge il tener palla. Se dominio dev’essere, sarà quello degli spazi. Puoi vincere la guerra senza presidi, solo con l’assalto.

Ed è nella ricerca dell’ampiezza, del verticale, della falla nel fuorigioco avversario, dell’uomo nel profondo che si ritrova la Juve in Svezia. È in questo modo che arriva il gol che sblocca il match, quello di Alex Sandro – in versione bei tempi. Così, ancora, è conquistato il “rigorino” da Morata – realizzato fortunosamente da Dybala – e segnata la terza rete, sempre dallo spagnolo, che chiude le danze svedesi.

Sorride la Juve. E a vedere l’undici in campo, con i nomi degli assenti in mente, sembra che il sorriso mancasse più del risultato. Il fil rouge del biennio Sarri-Pirlo è stato il muso lungo, la depressione di non esprimersi come richiesto, la certezza di non farcela – sconosciuta nell’ex ambiente del fino alla fine.
Una rondine non fa primavera, e i bianconeri non sono rinati, hanno semplicemente capito di essere e di esserci. In tre partite non era ancora mai successo.

È agrodolce l’inizio Champions dell’altra italiana, l’Atalanta. Agrodolce la serata, si apre con la caduta dello United in Svizzera.
La favorita del Gruppo F cade sotto i colpi degli avversari e nell’inganno Ronaldo: può nuocere gravemente alle responsabilità di squadra. Possono colpirti anche con un giubbino antiproiettile.

Zucchero per Gasperini, dolce quasi quanto il gol di Remo Freuler. 6′ minuti e hai la sensazione che l’aria europea restituirà fiato ai polmoni bergamaschi.

E, in effetti, la Dea corre, lo fa molto più di quanto abbia fatto sinora in campionato. Ma non corre bene o non bene come un tempo. È sbagliata.
Fa passi in avanti rispetto all’ultima con la Fiorentina, solo perché il Villareal non pressa alto. Se lo accenna, il pressing, induce quasi sempre all’errore.

È una partita da cuori forti in Spagna, una partita alla portata dei nerazzurri delle scorse stagioni, l’anno scorso l’avrebbero ammazzata.
Oggi nei novanta minuti si perdono cinque o sei volte di seguito, si scollano. Se non ci fosse stato Musso non saremo qui a parlare di un pareggio. L’argentino è un portiere strepitoso, essenziale, non fa nulla per essere in posizione e già lì: questa è una dote comune ai grandi numeri uno.

L’altro ringraziamento speciale va a Gosens ha la forza di un titano e anche il cuore. Il cuore che fa risultato e mitiga l’amaro. L’amarezza di una squadra che restituisce la sensazione di aver perso li fuoco che l’animava, forse albergava troppo in Gasperini più che nel gioco stesso. E il fuoco, si sa, o si spegne o brucia che c’è intorno.

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