© “DE LAURENTIIS” – FOTO MOSCA
È entrata l’estate in città, ma è come se non ce ne fossimo accorti, chi la precedeva le assomigliava un sacco. Tempo di sale, di sole, di mare, di calciomercato, ossi di seppie e ossimori. Il più persistente, tra questi ultimi, tiene, a forza, vicini due concetti contrari: “il Pappone (tra l’altro indagato) pensa solo ai soldi” e “l’anno prossimo sarà difficile entrare nelle prime quattro (Spalletti semi-cit.)”. Eppure, basta un sillogismo aristotelico per disperderlo.
Se De Laurentiis guarda, innanzitutto, al “vil denaro” e nulla in giro per il panorama calcistico può promettertene di più della Champions, allora si può dormire sonni tranquilli come Mbappé da quando ha firmato il suo nuovo contratto da 56,4 milioni l’anno. Fino a che il Presidente non imboccherà l’A16 per portare baracche, burattini, Jacqueline e figli in quel di Bari, manterrà gli azzurri al livello delle contendenti all’Europa che conta.
Lo sta già facendo, in effetti, trovando terreno fertile (o infertile) in una lega nostrana che ha gli occhi di una vedova. Una di quelle che ha perso disponibilità, blasone, palle (quelle nobiliari sia chiaro!), dalla morte del caro sposo (il Signor Soldo), ma vuole vivere come se non fosse così, anche se è chiaro a tutti gli addetti ai lavori.
La Serie A è un campionato stanco, povero, obsoleto.
Oggi, tra i cinque principali campionati europei, quello italiano è il quinto, superato anche dalla Ligue 1 che offre ai broadcast internazionali l’opportunità di assistere ai giovani che saranno i futuri “galletti” campioni del Mondo, oggetti del desiderio delle migliori big (vedi il duo Camavinga, Tchouaméni – Real Madrid), e alle stelle più splendenti che illuminano il cielo di Parigi, allo stesso modo in cui in un passato ventennio (1980-2000) rendevano luccicanti le oramai plumbee volte emisferiche che soffocano Milano, Torino, Roma, e chi più ne ha più ne metta.
Nessuna squadra italiana può permettersi il meglio. Non c’è programmazione che tenga. Ogni colpo è frutto dell’opportunità. Si mangia quello che al mercato è in offerta o è rimasto. Chi prima poteva sfoggiare un Rolex al polso, ora può al massimo comprare uno Casio (modello economico), oppure continuare a darsi delle arie acquistando una pacca, un falso.
La Serie A è trampolino e, allo stesso tempo, terra di pre-pensionamenti d’oro. I giovani, perlopiù stranieri, si fanno le ossa e vanno via. Arrivano in tanti, invece, che non hanno più nulla da chiedere che un decente ultimo contratto, con vista Europa. Tra questi tanta “paranza”, numeri, tentativi di sopravvivenza. È finita l’epoca delle liste con i nomi cerchiati da prendere e da mettere a disposizione dei tecnici prima dell’inizio dei ritiri.
La Juve ha le casse bloccate da giocatori elefanti che da anni distruggono la cristalleria della Vecchia Signora. C’è mezza squadra in partenza che nessuno vuole nemmeno in regalo, fantomatici campioni dal valore di un pigiama a quadri. Ha corsie da rifare da zero. Il problema De Ligt. Un centrocampo deturpato come un vagone abbandonato in una ferrovia in disuso, il solo Pogba (che arriverà ma vedremo se come lo ricordiamo) non potrà renderlo da solo il Venice Simplon-Orient-Express. Ha perso Dybala, Chiellini, Morata. Non è entrato ancora nessuno, nonostante le voci.
L’Inter ha in Marotta la sua bombola d’ossigeno. Il miglior dirigente d’Italia ogni anno fa la squadra come se fosse la Regina degli scacchi. Ha preso Onana (a zero), Mkhitaryan (a zero), Asllani (di cui sentiremo parlare per anni), Bellanova e poi Lukaku, quest’ultimo quasi per sfizio, per quella perversione di riprendersi ciò che era proprio dalle mani di chi te l’aveva sottratto con la forza, quasi come indurre al tradimento l’ex che ti aveva tradito. Ma non ha operato per sfarzo, Marotta, bensì per tagliarlo. Prepara l’uscita di Handanovic, Vidal, Sanchez, Correa (se dovessero arrivare offerte), Dumfries, Skriniar. L’imperativo è abbassare il monte ingaggi.
E non hanno certo “le rendite disseminate al sole”, soldi da buttare, sull’altra sponda della Darsena, nonostante la nuova proprietà. Maldini e Massara (tra l’altro in scadenza) hanno un tetto massimo di 40/50 milioni da investire, stipendi da calmierare. Si parla da mesi di Botman e di Sanches, ma il PSG come il lupo cattivo potrebbe farne un sol boccone. Nel frattempo è partito Kessie, ed è entrato un ragazzino riccio ed esotico di belle speranze (Adli), in avanti hanno tutti un anno in più e prima non erano pochi.
Se, poi, dalla capitale della moda si guarda a quella di fatto: i giallorossi si esaltano per un Matic (in pensione dal 2017, anno del suo arrivo a Manchester) e i biancocelesti vivono l’ennesimo mercato “lotitiano”, lento come il Tevere cantato da Baglioni nonostante Marcos Antonio. In giro per lo Stivale, nessun colpo degno di nota. C’è l’entusiasmo nostalgico del Berlusca, la voglia di rivalsa di Iervolino, il colpo del Sassuolo Augustin Alvarez Martinez, uruguaiano classe 2001.
La Serie A che si muove è quella dei cicinielli, pesci piccoli in un mar di tartaro. In queste correnti modeste Kvaratskhelia e Mathías Olivera sono rinforzi veri, rinvigorimento di una fascia che diventa più completa e potente. Non mancheranno le uscite ma tornando al sillogismo e al contesto ci si può mettere comodi con in mano una birra a guardare l’inabissarsi della Serie A. Poi sorridere perché quel marpione del Presidente, comunque vada, terrà a galla gli azzurri, per tenere a galla se stesso.
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