Esiste ancora l’attesa per il pallone?

L’attesa ruota attorno al concetto cardine che dovrebbe accompagnare più o meno tutte le esperienze della nostra vita: la passione.

Articolo di Andrea Masciaga16/02/2022

In questi ultimi anni ho avuto modo di intensificare il mio seguito verso i “campionati che contano”. Un po’ tramite l’assidua gestione dei miei canali social (Non è più domenica) e poi grazie a quella passione sconfinata che mi travolge da quando ho cinque anni.

Ecco, in questa attenzione riposta verso un ambiente, quello del pallone, a livello sociologico tremendamente complicato, ho constatato diverse questioni spinose e interessanti, una su tutte però mi ha coinvolto in maniera decisamente travolgente.

Ho notato, nelle parole di molti tifosi, ascoltati via social o incontrati, una certa malinconia nel descrivere quella che era, e che non è più, l’attesa.

Ora immagino che il lettore si starà chiedendo: “Sì, ok, ma cosa c’entra tutto ciò con i fangosi campi dilettantistici?

Ebbene questo è il nostro punto di partenza. Sì, perché i campi dilettantistici, fangosi, gibbosi, maledettamente disastrati, portano ancora con sé, per giocatori e tifosi, pochi o tanti che siano, l’attesa. L’attesa per una partita che non interesserà a nessuno, se non ai presenti e alle altre poche squadre che popolano il girone. Grottesco vero?

Più che altro vien da chiedersi quale sia il motivo di tanta attesa, o almeno se lo chiederanno coloro che non hanno mai varcato la porta di uno spogliatoio dei “bassifondi” del calcio.

L’attesa, da quelle parti, ruota attorno al concetto cardine che dovrebbe accompagnare più o meno tutte le esperienze della nostra vita: la passione.

Perché sostanzialmente, esclusi gli sporadici casi in cui una società tira fuori qualche profumata banconota, il resto dei giocatori sono un manipolo di volontari al servizio del gioco.

L’unica moneta di scambio è il sentirsi vivi, il fuggire per tre volte a settimana da tutto ciò che non è un campo di pallone. La moglie, gli studi, l’ufficio, la fabbrica, i figli, i videogiochi, tutto. Ogni singola corsa al campo è una fuga.

Che poi si ritorna sempre al campo base, con qualche euro in meno, speso per la benzina, ma con un sorriso (o un broncio) da far invidia al mondo. E allora torniamo al dunque.

Esiste, oggi, qualcosa che, per i tifosi e per i giocatori, crei più attesa nel calcio dilettantistico che in quello professionistico?

Per questi ultimi è davvero difficile parlare, anche perché bisognerebbe entrare nella testa di un Messi, o di un Cristiano Ronaldo, cito loro due perché una citazione se la meritano, anche se, al netto di ogni considerazione, visto le pressioni che vive oggi il calcio dei grandi, credo che in mezzo alla povertà, per gente che con il calcio non ci mangia, ci sia molta più attesa, per un allenamento, ad esempio, ma soprattutto per la domenica.

Per il tifoso credo che invece la questione sia diversa, per un motivo su tutti: il calcio che conta si è dimenticato della sua importanza.

E lo ha fatto, forse inconsapevolmente, affidando le chiavi del proprio destino alla macchina del denaro. Non che prima quest’ultimo fosse un fattore di poco conto, ma sicuramente non il più importante.

E allora sì, il magazzino malandato del pallone, ovvero il mondo dei dilettanti, in questo, almeno ultimamente, supera i giganti.

Perché credetemi, e lo scrivo da ragazzo che fortunatamente è ancora in campo, i tifosi per una squadretta di paese o quartiere, sono ancora tutto. Sono ancora un carburante decisamente performante per il motore della passione, anche se a volte si rifiutano di pagare il biglietto e guardano le partite arrampicati sulle reti. Anche se sbraitano come matti facendo irritare gli arbitri. Anche se spesso e volentieri guardano solo le partite in casa.

Nei loro occhi, ogni domenica, si percepisce quell’attesa di chi segue qualcuno o qualcosa da sempre. Ma non solo.

Negli occhi di chi è arrivato dopo, di chi ha abbandonato l’altra strada, quella dei grandi, si percepisce invece quella felicità di aver ritrovato un mondo genuino dove, il pallone, è ancora il centro del mondo.