I fiori sono meravigliose creature partorite dalla terra e alimentate da un amplesso con il sole. L’accostamento tra petali di poesia e bulloni arroventati sembra pura eresia. Eppure Eder ha saputo fondere le due anime. Prima calciatore, poi fioraio.
Eder, un operaio specializzato del calcio
Nessuna parentela con il fenomenale mancino del Brasile del “mestre” Telé Santana, o con l’oriundo dell’Italia che fu di Conte, e neppure con il treccioluto attaccante estemporaneo chiamato da Cristiano Ronaldo, in una sera di pura anarchia, a ereditarne l’aura nel teatro di Saint Denis. Norbert Eder è stato un operaio specializzato del calcio tedesco e mondiale.
Specializzato nel prendersi cura del fantasista avversario, del playmaker, del numero 10 che avesse più di altri la predisposizione a inventare traiettorie impossibili. Eder era il soldatino del genio guastatori applicato alla sfera di cuoio. Duro nei contrasti, con i tacchetti in perenne licenza di pizzicare caviglie altrui, ma generoso e leale nell’arco dei novanta minuti. Tant’è che nonostante la condizione da terminator, in carriera si è visto sventolare una sola volta il cartellino rosso sotto il naso.
Il carceriere di Diego
La sua parabola nei club la si può suddividere in tre momenti: gli anni della formazione e dell’arrembaggio a Norimberga, i trionfi nel Bayern Monaco e un percorso verso il viale del tramonto nella tranquilla Zurigo. Eder è stato il carceriere di Diego Maradona. Il gendarme chiamato da Beckenbauer a tentare di frenare l’extraterrestre nella finale di Città del Messico ai mondiali del 1986.
Ma facciamo un passo indietro: il “kaiser” decise di convocarlo per la prima volta a un mese dalla kermesse iridata, facendolo esordire in un’amichevole contro la Jugoslavia a Bochum. Beckenbauer aveva un debole per due vecchi fusti: Dietmar Jakobs per la difesa e Felix Magath per il rifornimento di munizioni all’attacco (Voeller, Rummenigge, Allofs). Il boia di Atene, reduce da una stagione mediocre ad Amburgo, e con 33 primavere sulle spalle, in campo di fatto camminava, ma a Beckenbauer interessavano i suoi piedi geometrici. “Felix può fare quello che vuole. Ho trovato chi correrà per lui”.
Norbert Eder da Bibergau appunto, che impiegò pochissimo tempo a entrare nella parte, guadagnandosi persino un posto da titolare all’Azteca. Il ct gli assegnò la maglia numero 6, la stessa che quattro anni prima aveva indossato un altro mastino delle terre di mezzo, Wolfgang Dremmler.
Il 29 giugno 1986 Eder si occupò della marcatura di Maradona. L’unica volta che lo perse di vista, il Pibe servì la palla a Burruchaga per il definitivo 3 a 2. “Nell’azione del gol ho tentato un anticipo su Olarticoecha, ma la palla è finita sui piedi di Diego che ha bruciato sul tempo Matthaus e Rummenigge. Il resto è la cavalcata infinita di Burruchaga, il tentativo disperato di Briegel e Schumacher. La palla che entrava in rete l’ho avvertita come una coltellata in pieno petto”. Sulla marcatura di Diego aggiunge: “Era incredibile, lo colpivi e si rialzava, con il sorriso sulle labbra. Anche da questi gesti si comprende quanto fosse unico al mondo”.
Nei cannoni i fiori
Al termine della carriera Eder aveva scelto di allontanarsi dal pallone, abbandonando anche il suo proverbiale spirito belluino. Nei cannoni ci aveva messo davvero i fiori, quelli che vendeva con sua moglie Elisabeth in un negozio di Rosenheim (in Baviera).
“Il calcio non mi manca, è troppo caotico per il mio carattere. Quando ho voglia di emozionarmi vado a colpo sicuro e riguardo quella partita che mai avrei pensato di giocare in vita mia. Sono in tutto nove in due mesi. E il gran finale arriva con Maradona”, raccontava. Ebbene sì, stiamo purtroppo parlando al passato per rinverdire le gesta dell’atleta che la Germania disciplinò per soffocare (invano) la vena artistica del Pibe.
Norbert Eder è morto due anni fa dopo una lunga malattia. E’ morto a novembre, come Diego, ma un anno prima di Diego. Senza scadere nella retorica a buon mercato mi piace pensare che da qualche parte (i credenti direbbero “lassù”) si siano ritrovati. Per giocare, per rincorrersi, o semplicemente per guardare assieme qualche partita. Magari di questo Napoli che sta facendo sognare i tifosi.
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