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Da Garcia ad Allegri: che noia, sapere già oggi di chi sarà la colpa domani

Da Garcia ad Allegri: che noia, sapere già oggi di chi sarà la colpa domani

©️ “GARCIA” – FOTO MOSCA

Che barba, che noia. Siamo appena alla terza e se il Napoli non bisserà lo scudetto sappiamo già di chi sarà la colpa: di Rudi Garcia. In base allo slogan popolare e populista secondo il quale il patrimonio di Luciano Spalletti potrà eventualmente sciuparlo l’erede, non i discepoli. E il Kim baluardo della difesa spedito in Baviera? I singoli non contano (ah ah ah)…

La Juventus, poi. Non rammento un caso più uggioso, più noioso, più palloso: Massimiliano Allegri. Che mai Andrea Agnelli avrebbe dovuto richiamare e che invece, ahilui, richiamò. Qui i patti sono chiarissimi. Se Madama svolta, tutti ai piedi di Francesco Magnanelli, ex Sassuolo, l’ultimo degli Oppenheimer precettati d’urgenza. Che, di sicuro, avrà spinto il più antico degli allenatori moderni a darsi una mossa, ad avanzare il bari-centro, a pressare di gruppo e non alla carlona. Viceversa, se la Vecchia resterà la rugosa matrona dell’ultimo biennio, sia maledetto il livornese che ciancia di calcio semplice, di supremazia dell’attimo. A sette milioni e mezzo netti a stagione, per giunta. E allora: uffa. Lele Adani e Antonio Cassano, dai pulpiti della Bobo tv, continuano a crivellarlo. Più il toscano non li fuma, più gli scagliano lapilli. Lele, per la cronaca, avrebbe pure il patentino e con un tutore potrebbe pilotare addirittura la Juventus, ma col cavolo che si candida, vuoi mettere gli spari dal buio?

Pochi si soffermano sulla rosa dell’ex Tiranna, fornita, sì, ma non più come nel periodo dei nove scudetti. Chi scrive, prima che il campionato decollasse, l’aveva piazzata al quarto posto: dietro Napoli, Inter, Milan. Che tedio, ragazzi: se Dusan Vlahovic non azzecca un dribbling, vaffan Max. Federico Chiesa seconda punta? Internate il livornese, please. Siamo arrivati, ormai, a equiparare la figura del mister (in generale) a una sorta di stato assistenzialista, comunque e dovunque. Viene in mente John Fitzgerald Kennedy: «Non chiederti cosa il tuo paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese». Magari. Il cittadino-giocatore se ne guarda bene. Tanto: se vince, merito degli schemi; se perde, ecco, se perde, si tratta, si patteggia. Se prestazionista, abbasso il domatore; se risultatista, al diavolo le belve. Mai un guizzo, sempre tutti lì, sulle rispettive rive di un Piave che non fa passare nemmeno uno spillo.

Come la storia della Juventus che ruba. La ladra fra suorine sempre in chiesa ma spesso incinte. Il fatto che la Cassazione abbia «rubato» ai detective torinesi la torta dell’inchiesta Prisma, trasferendola nella capitale, significa che sotto c’è qualcosa. Sotto o sopra? I siti juventini friggono di indignazione, rimembrando i 10 punti di penalizzazione incassati in sede sportiva. La contraerea ribadisce quanto Gabriele Gravina sia schiavo di John Elkann e come Giuseppe Chiné, gran ciambellano della procura federale, il pistolero che ha premuto il grilletto della sentenza, incarni una via di mezzo fra il sicario e il complice. Si citano le famigerate «auto-plusvalenze», quelle che la Juventus si sarebbe fatta da sola, dal momento che i partner continuano a esserne sistematicamente prosciolti, vedasi (per alcuni esperti, non per tutti) il caso del trasferimento di Riccardo Orsolini al Bologna nel 2019. Falso in bilancio? Nada de nada. La «marcia su Roma» sarà molto indicativa, anche se molto, molto lunga. E alla fine, tranquilli: Juventus assolta, ingiustizia; Juventus condannata, giustizia.

Morale della favola: meglio la nausea di Jean-Paul Sartre o la noia di Alberto Moravia? José Mourinho preferiva la nausea. La usò contro Claudio Ranieri. Che gli replicò: «Mou, mi annoi». Dal seggiolone di Wimbledon direbbero: «Fifteen all». Quindici pari.

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