© “MANCINI” – FOTO MOSCA
Adesso che persino Roberto Mancini e le sue «famiglie» hanno battezzato Riad a suon di dollari e di musica («Dear Italy, bye bye»), rivalutando la vita bassa di Gabriele Gravina, molti lettori si interrogano sulle razzie arabe: come arrestarle, come domarne le pulsioni iconoclaste. Certi stipendi e certi ristori (ai club) non li può garantire nessuno. Neppure, temo, la «miglior» Superlega che avrebbero potuto immaginare Agnelli più saggi e lupi meno pavidi.
Un cerottino, ma proprio «ino», sarebbe la chiusura del loro mercato lo stesso giorno dei nostri, il 1° settembre, per evitare – almeno – assalti alla diligenza senza possibilità di «soccorsi». A patto di non dimenticare che 1) quando si saccheggiava il Sud America, certi scrupoli non ce li ponevamo e che 2) quando gli sceicchi fanno le fortune delle società europee (Manchester City con progetto; Paris Saint-Qatar, senza) in giro non colgo molto sdegno.
È sintomatico il caso del Newcastle. Lo prende un fondo arabo, all’inizio i tifosi sono furibondi («bastardi, siete gente che offende i diritti umani, vergognatevi; giammai!»); scendono in piazza, occupano strade e pub. Piano piano, cominciano a piovere fior di risultati, con lo storico ritorno in Champions dopo 20 anni, e allora contrordine compagni, tutte gazze (e)saudite. L’ottantello per Sandro Tonali non è più sterco del diavolo, è manna dal cielo, non importa quale.
Dicono che Riad punti al Mondiale del 2034, come il Qatar ha avuto l’edizione del 2022, in onore della quale strangolammo i nostri calendari per adattarli alle sue cadenze. E non che, al confronto, i qatarioti fossero delle suorine. A proposito di arabi mai paghi: dal calcio al tennis, hanno scalzato Milano dal torneo «Next Gen». Iniziano a essere tanti, gli indizi di onnisolvenza.
Si spera che sia una bolla come l’impiastro cinese, montagne di soldi subito e poi una ritirata da rendere banale Caporetto. I napoletani si rifugerebbero nel repertorio di Eduardo: «Adda passà ’a nuttata». Mettiamo pure che un domani si trovino dirigenti migliori di Gianni Infantino e Aleksander Ceferin (coraggio, lo meriteremmo), ma anche un Artemio Franchi del Duemila cosa potrebbe opporre? Se fai del denaro l’unica bilancia, o comunque una bilancia che dà chilometri di distacco alle altre, e ti addormenti, può spuntare sempre un’Arabia a tirarti giù dal letto.
Non è nuova a «pisoli», l’Europa. Il 15 dicembre 1995 stava russando della grossa tra i cuscini di un certo Jean-Marc Bosman, grigio centrocampista belga. «Figuriamoci se “quello lì” potrà mai sabotare l’ordine vigente e cogente che abbiamo dato al football, ma dai», blateravano, arroganti, gli gnomi dell’Uefa. Ci cascò addirittura Antonio Matarrese. Improvvisa e tranciante, la sentenza (Bosman, appunto) li costrinse a farsi una doccia al volo per correre a firmare la resa. Ci saremmo arrivati comunque, al liberi tutti, ma non in termini così traumatici, così impulsivi.
Le partite del campionato arabo, acquisite da «La7» di Urbano Cairo, non stanno offrendo ascolti piccanti. Sarà l’orario (tarda serata), sarà l’impronunciabilità dei nomi delle squadre, handicap che allontana i curiosi da un minimo d’identificazione, sono gli ingaggi a catturare lo stupore dell’audience. Lele Adani si è detto «sconvolto» dalla scelta di Gabri Veiga, la mezzala del Celta Vigo che, a «soli» 21 anni, ha snobbato i progetti del Napoli per buttarsi sul miele dell’Al Ahli: 12,5 milioni netti a stagione fino al 2027.
Viene quasi da sorridere, ricordando l’imbarazzo con cui Achille Bortolotti, presidente dell’Atalanta, comunicò a Giampiero Boniperti che, per Roberto Donadoni, «il» Silvio (Berlusconi) gli aveva offerto il doppio: otto miliardi di lire. Era il 1986. Era d’estate, tanto tempo fa.
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