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Lo Bello: “Tre parole: carità di patria”

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È rigore, non è rigore. È gol, non è gol. Rigori parati, no, da ripetere per invasione. E noi che pensavamo di averle viste tutte e che, con l’ausilio del Var, non avremmo dovuto più assistere a certi abbagli solari. E invece…ogni domenica, o quasi, ci stupiamo e meravigliamo ancora. E intanto si riempiono di inchiostro digitale testate giornalistiche, blog, social, con i leoni da tastiera pronti, in agguato, per mordere e diffondere malcontento. Intanto la Serie A prosegue la propria navigata in questo mare in burrasca, con tre velieri a giocarsi lo sprint finale. Il quarto, quello bianconero, è stato cannoneggiato dalle bocche di fuoco di poppa di capitan Inzaghi.

Proprio durante questo scontro si è alzato il vento delle polemiche. Al centro del ciclone, oltre all’importanza intrinseca del derby d’Italia per le sorti del campionato, la gestione dell’assegnazione, e della successiva ribattuta, del calcio di rigore a favore dell’Inter, nonché la mancata concessione di un penalty alla Juventus, per un fallo subito da Zakaria con dinamiche simili a quello dato in precedenza.

Noi, come di consueto, ci appelliamo al nostro interlocutore di prestigio per orientarci un po’ in questa burrasca: l’ex arbitro internazionale Rosario Lo Bello.

Il primo pensiero del figlio del grande Concetto è andato immediatamente al presidente dell’AIA Alfredo Trentalange e a Maurizio Ciampi, designatore della Lega Pro, rimasti coinvolti in un incidente stradale sulla A1 nella giornata di sabato. Fortunatamente nulla di grave per entrambi, solo alcune fratture riportate dall’impatto.

Ieri mattina ho inviato un messaggino a Trentalange in cui gli mandavo un forte abbraccio, lui mi ha risposto con un cuoricino. Quindi, ecco…l’importante è che stia bene e che si rimetta al meglio. Così come lo auguro a Ciampi, ovviamente. Detto ciò, vogliamo parlare di campo? Cosa debbo dirti? Tre parole: carità di patria”.

Cosa intende dire con “carità di patria”?

Che prego per l’AIA, per il presidente che adesso ha questo piccolo problema, per il vicepresidente Duccio Baglioni, prego per tutti. Che riescano a stabilire un protocollo definitivo. Prego per loro e per il bene loro, poiché voglio bene a tutti. La gente, arrivati a questo punto, non capisce più nulla. Quindi, facciamo innanzitutto capire alle persone, perché è giusto che ci sia il consenso di chi gode di questo sport, e in base a ciò cerchiamo di calibrare e definire una volta per tutte il protocollo.

Personalmente, preferirei vedere in sala Var coloro che sono ancora in attività e che colgono le trasformazioni. Ricordo a me stesso che quando un arbitro viene dismesso, e non parlo della preistoria, ma dell’altro ieri, solitamente offre il proprio contributo dietro ad una scrivania a livello dirigenziale, oppure va ad insegnare ai giovani mettendo a disposizione la propria esperienza. In particolare, su questo aspetto vorrei sottolineare che il ruolo dell’osservatore è importantissimo. Secondo me, non si dovrebbe attenzionare gli arbitri che sono già all’’università’, bensì quelli ancora alle ‘scuole medie’. Per crescere servono buoni maestri, che diano consigli caldi di campo.

Ripeto, sempre dal mio punto di vista, ritengo che sia più utile ed efficace al Var l’ausilio di un arbitro che stia ancora dentro al campo, che respiri il profumo dell’erba. Questo perché la squadra di arbitri che è in attività deve essere assolutamente solidale. Coloro che rischiano direttamente sono direttamente responsabili. Ciò non significa che io non sia d’accordo con l’AIA o che vesta i panni del ribelle, è semplicemente la mia umilissima opinione”.

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