Verso la storia, Napoli-Spezia: da ieri a oggi

36 anni fa il Napoli si giocava lo scudetto, mentre Luciano Spalletti provava a trascinare lo Spezia in Serie B. Oggi la storia è molto, molto diversa.

Articolo di Redazione SDS04/02/2023

© “SPALLETTI” – FOTO MOSCA

Ci sono squadre che si dirigono alle porte della storia, pronte ad essere accolte dall’eterno, mentre altre sono chiamate a sgambettarle, magari provocando la perdita della chiave adatta. C’è il Napoli, proiettassimo verso il terzo scudetto della sua storia, e c’è lo Spezia, e come i liguri tante altre squadre al quale è assegnato questo compito. Loro disputano un campionato tra la media classifica e la zona retrocessione, con lo scopo di mettere zizzania inscenando prestazioni magnifiche, mai fatte prima, con l’unico scopo di togliersi uno sfizio: “Ho battuto…. i Campioni“.

Il Napoli di Luciano Spalletti, questa settimana, è chiamato ad affrontare lo Spezia, appena un gradino sopra la zona che scotta, l’inferno. Gli azzurri la guardano dall’alto, dalle porte del paradiso. Forti di un +13 sulla seconda, ed un gioco impareggiabile in Italia, gli azzurri devono stare attenti a non giocare troppo con il fuoco: ricordate la gara di andata? Ci pensò Giacomo Raspadori allo scadere di una perdita destinata a non recitare marcatori. Avversari del genere vanno spazzati via, disintegrati, surclassati di gol. Con un pizzico di superbia il Napoli potrebbe guardarsi alle spalle, ricordando chi è, soprattutto, cosa è chiamato a compiere.

La banda ha messo a referto 5 gol contro la Juventus, e si è munita di pallottoliere per tenere a mente i gol segnati contro Ajax e Liverpool, squadre in cui non giocano proprio Pippo e Paperino. È una squadra spavalda che non soffre di complessi di inferiorità verso nessuno; scende in campo con gli occhio iniettati di sangue, la garra di chi deve affrontare una finale di Coppa del Mondo, e tramuta questo spirito in tecnica ed estro: è una farfalla con lame al posto delle ali. Sventra le difese ma seguendo una dolce melodia dettata dal suo direttore d’orchestra (Spalletti, Lobotka, chicchessia).

In questo periodo, anni fa, dolci anni fa, il Napoli si apprestava a diventare Campione per la prima volta nella sua storia: più precisamente, il primo febbraio del 1987, sotto un solito cielo dai tratti grigi, la squadra di Ottavio Bianchi era occupata a strapazzare l’Udinese, inconsapevole che da lì a tre mesi avrebbe alzato il titolo. Qualcosa è cambiato rispetto ad oggi, sapete cosa?

1 febbraio 1987

Una gara senza storia si consuma in Friuli: il Napoli di Bianchi strapazza la squadra di De Sisti per 3-0, si pensa in grande, sì, ma scudetto è una parola proibita. La città di allora, molto più selvaggia rispetto a quella attuale ricca di modernità, non aveva ancora sfatato il tabù della scaramanzia. Pronunciavi: “Scud…” e subito venivi zittito, come fosse una parola proibita. Diego apre le danze su rigore con un’esecuzione perfetta. Il suo tango non si esaurisce lì, perché ad una manciata di minuti dalla fine del primo tempo, su una pennellata di Romano, aggancia il pallone in area di rigore e trafigge Abate, che nulla può oltre che alzarsi dopo l’uscita, dirigersi verso la propria porta, e togliere il pallone spazzandolo rabbiosamente a centrocampo. La terza rete è frutto di una grande azione corale da parte degli azzurri, conclusa da De Napoli che, solo davanti alla porta, trafigge ancora l’inerme estremo difensore bianconero. La squadra di Bianchi rifila una grande lezione di calcio: subisci pochissimi tiri, segna in tre modi differenti e tiene sempre il pallino del gioco: però dai, con Maradona forse era un po’ troppo facile. Fortunati quelli che lo hanno visto dal vivo.

Era un Diego versione Mondiale: quello che aveva eliminato l’Inghilterra nella partita più controversa della storia, il trascinatore della Selección in stadi adibiti a tutto, tranne che ad essere palcoscenici di calcio, considerata l’altitudine che non permetteva una respirazione del tutto normale. Grazie ai suoi scudieri, nell’Argentina e nel Napoli, diciamo che qualche soddisfazione è riuscito a togliersela. D’altronde non puoi cambiare una città, o diventare culto di essa, se non hai un dono speciale.

Ma in tutto questo, lo Spezia?

Da quelle parti, la metà degli anni ’80, è altrettanto dolce, ma per ben altri motivi: mentre il Napoli lottava per lo scudetto, lo Spezia scriveva pagine (memorabili, per loro) indelebili della propria storia. La squadra, in un modo o nell’altro, riesce ad evitare il fallimento ed addirittura conquista la promozione in Serie C1.

La stagione, culminata con un trionfo, è stata molto dura: il presidente Pietro Rossetto viene arrestato e la società scivola in gravi difficoltà finanziarie. Di regola questo dovrebbe riversarsi sul campo, e la squadra infatti sembrava destinata ad una retrocessione, massimo un campionato navigando nel mezzo della classifica. I calciatori, invece, nonostante non percepissero stipendio, misero nel rettangolo verde tutto l’amore e l’impegno esclusivamente per la gente, per i tifosi, perché no, per l’onore. Se una storica partita del Napoli formato 1986-1987 è quella contro la Fiorentina, quella indimenticabile per la compagine spezzina dell’epoca è quella che li vede affrontare la Pistoiese, giocata tra le mura amiche ed il sostegno di 12.000 tifosi. Ci vorranno anni per poi tornare nella massima serie, ma ci andranno molto vicini presto, nel segno dell’attuale allenatore del Napoli, Luciano Spalletti.

Il destino, a volte, dimostra davvero che sa come divertirsi.