Bravo, bravissimo…ma
A Spalletti vanno indubbiamente gli enormi meriti della grande stagione di questo Napoli. Permangono, però, grossi dubbi sulla gestione di ieri.
© SPALLETTI – FOTO MOSCA
Eccelse penne di narratori dl calcio, eredi del venerato scriba Gianni Brera (che riposi in pace), esternano a più voci l’estro armonico in favore di tempestività, acume tattico e qualità strategica del tecnico Spalletti nel disporre le pedine sulla scacchiera verde-prato dei campi dove il Napoli si è esibito, fino a questo step del campionato con indubbio merito. Gli aggettivi attribuiti per tessere le lodi dello stratega alle prese con i cambi si sprecano, si colorano di magico tatticismo, di visioni extraterrestri in grado di leggere con somma competenza e intuito da volpe del deserto il tourbillon delle sostituzioni.
Senza innestare la retromarcia, che ne segnalerebbe di belle, ci sarebbe da chiedere agli analisti del calcio un gigantesco perché Spalletti ieri sera, nel Pepsi Stadium non si sia reso conto dell’errore di aver preferito Elmas a Politano, di aver indotto il macedone allo smarrimento tattico per la posizione in campo indefinita: né ala, in assenza di Insigne, né spalla di Petagna. Risultato? Il default di Lorenzinho è apparso più grave del previsto, si è azzerata la riconosciuta qualità degli azzurri di operare nella corsia di sinistra dove nascono le loro più frequenti opportunità di andare in gol. Forse, anche un soggetto afflitto da strabismo dopo il primo quarto d’ora si sarebbe accorto del disagio di Elmas. Le scelte alternative? Politano, Mertens. E poi, peccato veniale tenere in campo un disadattato Elmas? Di là dalla miopia, forse lieve, forse no, di non sostituirlo per tempo, il danno collaterale di operare con dieci azzurri e mezzo e l’aggravante di escludere dal gioco Petagna, isolato anche per l’esasperante individualismo di Lozano.
Sulla gestione complessiva dell’organico meritano qualche parola i casi di Zielinski, di Manolas, di Ospina-Meret. Il polacco che ha illuminato per più stagioni il gioco del Napoli, ha forse perso improvvisamente e senza motivi palesi smalto, intelligenza tattica, energia dinamica, autorevolezza, o ha invece sofferto le incertezze di Spalletti su ruolo e posizione immaginati nel progetto complessivo del Napoli post Gattuso? Perché è venuta meno l’affinità elettiva di Manolas, centrale inamovibile nella Roma e poi del Napoli pre-Spalletti? È normale l’alternanza Ospina-Meret, caso più unico che raro di un allenatore che non si affida totalmente al portiere di cui ha maggiore considerazione e lo impiega oggi sì, domani no? Come motivare partite in sordina, di mediocre profilo, ad esempio i novanta minuti del derby con la Salernitana, i tre quarti da sette in condotta con il Legia, i 60 minuti senza un’invenzione capace di cambiare l’inerzia del match? Di contro la domanda lecita: “Ma cosa si pretende da un allenatore che infila dieci risultati positivi su dieci incontri disputati finora?” Giusta osservazione, che non azzera i dubbi sull’enfasi di chi esalta l’‘impresa’ dei 10 su 10 ottenuti a tutt’oggi da Spalletti.