L’invidia: peccato veniale o capitale?

L'analisi dell'immeritato pareggio di ieri di Luciano Scateni. Evidenziando come spesso i nordisti pecchino d'invidia nei nostri confronti.

juve agnelli
Articolo di Luciano Scateni07/01/2022

© JUVENTUS – AGNELLI – FOTO MOSCA

Una Juventus, brutta copia dell’ammiraglia pluri scudettata, rinomata per la qualità del gioco in continuità dai tempi di Boniperti, di Zoff e Scirea, di Del Piero, ha strappato un pari poco meritato al Napoli dimezzato. Ha deluso, a conferma di un periodo tecnicamente “nero” e con i vertici del club impegnati a difendere guai giudiziari (il caso di Suarez, del finto esame per diventare italiano, gli ambigui rapporti con il tifo inquinato dalla criminalità, i bilanci truccati). Ebbene, anziché immaginare lo scenario di un’aula di tribunale con i vertici della società juventina in veste di imputati, magari chiamati anche a rispondere della pessima idea di sostituire con improduttiva frequenza gli allenatori, la stampa e ovvio più di ogni altro “la Repubblica” confindustriale, proprietà della Fiat (Fiat-Juventus tutt’uno), all’indomani dello stentato pareggio dei bianconeri, ha impegnato i suoi cronisti di prima fila in velenose dissertazioni sul caso dei giocatori azzurri autorizzati dalla Lega (storicamente per nulla benevola con il Napoli) a scendere in campo, salvo a pagare una sanzione amministrativa per aver interrotto la quarantena “precauzionale” e non perché contagiati. I tre “cattivi“, Rrahmani, Lobotka e Zielinski, sottoposti a tampone sono risultati negativi. Parole dure del giornale Fiat per il “fantasmagorico” (sic) De Laurentiis, attacco bilaterale di due firme del giornale.

Nell’intera pagina è inutile cercare l’episodio del fallo commesso, ma non sanzionato, da Bernardeschi, che ha preceduto il fortunoso gol di Chiesa provocato da una deviazione di Lobotka. Neppure un dubbio sul parere assolutorio di Irrati (Var), di un arbitro, come dire, per nulla “indipendente” da suggestioni dei “soliti noti”.
E però, per favore, espellete dalla mente e dal cuore, con la formula dell’urgenza, l’idea di rintanarci nel rifugio di una Lega Sud, in una sorta di “ripicca” meridionale alla spocchia nordista che prova a snobbarci, per antica e recente conseguenza di una patologica invidia, così etichettata dagli studiosi del comportamento, che hanno analizzato la sua origine e l’involuzione. Gli analisti sostengono che il sentimento antimeridionale ha origini nel lontano ’800, quando da Roma in su l’Italia pre e post unificazione nazionale scoprì, soffrendone, gli oltre cento primati di Napoli, capitale europea, in ogni comparto del sapere e delle sue applicazioni.

Aggravante non poco influente sulla delusione nordista fu l’inevitabile confronto tra la nebbia in val padana e le bellezze naturali del sud, con il suo clima mite, la sua operosa creatività. La boria del triveneto e dintorni è cresciuta con i vantaggi geografici della sua prossimità con l’Europa dei Paesi economicamente forti e non meno grazie al contributo determinante dei lavoratori meridionali, ma disconosciuto, oltraggiato dal razzismo. Il germe del leghismo ha esondato, si è progressivamente trasformato in secessionismo e ha spaccato l’Italia in due. Non era difficile immaginare che il processo di disgregazione avrebbe invaso segmenti della società che in teoria dovrebbero rimanerne estranei: lo sport ad esempio. Infatti è andata così, soprattutto nel degenerato mondo del calcio, dove l’odio razziale ha trovato terreno di coltura favorevole. Non sono estranei a questo arretramento comportamentale i media. Il motivo è evidente a chi conosce la concentrazione geografia di giornali e telegiornali da Roma in su.

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