Insigne e la casetta in Canada: né raggiro né tiraggiro
Chi nasce nella città della squadra in cui gioca e per la quale tifa sembra un privilegiato, in realtà non lo è.

©️ “INSIGNE” – FOTO MOSCA
Sarei vigliacco se affermassi o scrivessi, da seduto e da lontano, che, al posto di Lorenzo Insigne, avrei preferito la vetrina del calcio italiano alla manna del Toronto. Troppo comodo. Era l’estate del 1983 quando, dopo la fatal Atene di amburghiana memoria, accompagnai Roberto Bettega in Canada. E sempre lì, a Toronto, il cui club, all’epoca, si chiamava Blizzard. Bettega aveva 32 anni e mezzo. Insigne ne compirà 31 il 4 giugno. Per Roberto, fu il tappo a una carriera di champagne. Per Lorenzo, sarà un brindisi di lusso a qualcosa di sfarzoso, di sicuro, di misterioso. A 11,5 milioni netti di euro a stagione più 4 di bonus, sino al 2026. Ben oltre il doppio dello stipendio garantitogli dal Napoli sino al 30 giugno, e delle promesse (al ribasso, addirittura) per il rinnovo.
È la stessa tentazione alla quale non seppe resistere Sebastian Giovinco nel 2015. Militava nella Juventus, il Toronto (e chi, se no?) gli offrì 7 milioni abbondanti di dollari. Non sono spiegazioni, e neppure analisi. Sono riferimenti: per capire, se non proprio per sondare. Insigne ha fatto una scelta di carriera e di vita: l’avrebbe fatta comunque, anche se fosse rimasto. Dicono che Aurelio De Laurentiis non abbia scialato in sentimentalismo. Niente “cine”, il presidente che in materia sarebbe un libero docente. Lorenzo, che fuoriclasse non è, ha numeri che lo hanno spinto a diventare – e restare – titolare nella Nazionale campione d’Europa. Perfetto per il 4-3-3 di Roberto Mancini. Come lo era stato per il Napoli di Maurizio Sarri.
E allora? Chi nasce nella città della squadra in cui gioca e per la quale tifa sembra un privilegiato, ma non lo è. La gente cova la presunzione di sentirlo “figlio” suo, di conoscerlo più e meglio di quanto egli stesso supponga. Le coccole, così, decrescono a mano a mano che crescono le ambizioni (di tutti) e le responsabilità (solo sue), specialmente se i risultati non combaciano.
Il trasloco avrà luogo a primavera, nel frattempo Insigne continuerà a servire Napoli e il Napoli. Sa a cosa va incontro: sul piano ambientale e a lunga “cadenza”. Lo attendono la lotta per lo scudetto, gli spareggi dei Mondiali (a marzo), l’avventura in Europa League e Coppa Italia. Viceversa, il Qatar – se mai contribuirà a farci andare – dovrà conquistarlo dall’America. Voce dal fondo: i soldi sono molto, non tutto. Vero. Ma non sono miei. Come ha chiosato Giovinco dalle colonne del “Corriere dello Sport-Stadio”, si tratta di una sterzata – brusca, profumatamente pagata – che lo porterà lontano dal calcio che conta. In compenso, ammesso che sia un vantaggio e non si trasformi, alla distanza, nella noia esistenziale di Alberto Moravia, non avrà più le pressioni che l’hanno scortato dal vivaio a Wembley.
Gli sarebbe convenuto fingere e aspettare maggio. Ha firmato in un albergo di Roma nella settimana di Juventus–Napoli. Una metafora, se pensiamo al romanzo che ne ha coinvolto i rigori e i bagliori, più che una data da assemblea di condominio. È stato onesto, non banalmente e cinicamente furbo. Tra raggiro e tiraggiro, fra onorario e onore i confini sono, spesso, viscidi, pericolosi. I tribunali dei social lo attendono al varco. Ogni episodio, ogni sospiro verrà dibattuto nelle aule del web. C’è chi vorrebbe togliergli la fascia di capitano e chi gli rinfaccia gli esili, dorati ma romanticamente sterili, di Gigio Donnarumma a Parigi e Romelu Lukaku a Londra. Gli applausi che il popolo del Maradona gli ha dedicato domenica, contro la Samp, diffondono un barlume di speranza, di fiducia.
Alla fine, vorremmo essere tutti felici e contenti, come nelle favole. Ma la vita non è una fiaba, nemmeno quando sogniamo. L’importante è che lo sia lui.