L’Africa sta distruggendo il calcio africano

La Coppa d'Africa ha perso energia, interesse e fascino. I problemi sono molteplici, ma riguardano soprattutto la serietà e l'organizzazione.

Articolo di Luigi Guelpa13/01/2022

Nel marzo del 1982 Enzo Bearzot si recò a Tripoli per assistere alla Coppa d’Africa. L’Italia, ai mondiali spagnoli, avrebbe dovuto affrontare il Camerun e il “Vecio” aveva voglia e interesse di vedere dal vivo gli avversari iridati. Era il Camerun di Nkono, Kunde, Milla e Tokoto, già all’epoca conosciuti a livello internazionale, ma soprattutto era una squadra tecnica, ricca di individualità importanti. Per la cronaca il torneo lo vinse il Ghana ai rigori sulla Libia, i Leoni Indomabili si dovettero accontentare del quinto posto.

A distanza di quarant’anni, la Coppa d’Africa ha perso smalto, energia, interesse e fascino. È diventata una kermesse marginale, travolta dagli scandali, dall’incapacità organizzativa, e da vicende che somigliano a barzellette, sulle quali c’è però davvero poco da ridere. L’edizione in corso di svolgimento in Camerun sta raccogliendo figure vergognose e patetiche.

Tra club europei che non volevano concedere i propri atleti alle nazionali, problemi di Covid, ma anche di doping, il torneo è partito sotto una cattiva stella. Prendete il Burkina Faso, è stato a un passo dal rientrare in patria dopo che la commissione medica camerunense aveva individuato la positività di cinque calciatori, titolari, che avrebbero dovuto affrontare la squadra di casa. I burkinabé hanno gridato al complotto, anche perché il successivo tampone effettuato sugli stessi giocatori, ha evidenziato poche ore dopo la negatività.

Il Gabon è arrivato in Camerun all’ultimo minuto, in sciopero per la mancata assegnazione dei premi promessi dalla federazione. Il denaro fino a Natale era nelle casse della Federcalcio di Libreville, poi i soldi si sono volatilizzati. Per non parlare dei calciatori di Gambia e Mauritania, costretti a cantare a cappella l’inno che non è stato diffuso dagli altoparlanti dello stadio. O dell’arbitro di Tunisia-Mali, che ha fischiato la fine della gara all’85esimo, e, dopo essersi accorto dell’errore, ne ha commesso un altro rimandando i giocatori negli spogliatoi all’89esimo. La gara, vinta dal Mali, non è regolare e omologabile.

Errori, mezzucci, figuracce e latrocini assortiti. Il calcio africano ne esce con le ossa rotte. Se dopo gli exploit mondiali di Camerun, Senegal e Ghana, qualcuno ipotizzava il pallone nero sul tetto del mondo, purtroppo il sogno è destinato a non avversarsi mai. I problemi che attanagliano il continente nero sono molteplici, ma soprattutto riguardano serietà e organizzazione. Un tempo i figli degli immigrati facevano carte false (a volte nel vero senso della parola) pur di difendere la maglia della patria degli avi. Basti pensare, in tempi recenti, a Kanouté o Drogba. Oggi invece molti pezzi da novanta preferiscono scegliere la patria d’adozione, che sia francese, belga, olandese o persino norvegese, finlandese e spagnola.

E mentre Infantino pensa a un mondiale ogni due anni, forse l’Africa dovrebbe avere il coraggio di affrontare il percorso inverso. La Coppa d’Africa ogni quattro potrebbe regalare nuova linfa e maggior interesse a un movimento che davvero rischia di tornare a essere un fenomeno di nicchia.

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