Al Napoli serve consapevolezza per superare il “trauma del risveglio”

La sconfitta contro la Lazio potrebbe rappresentare l'opportunità per il Napoli per accettare il cambiamento e voltare pagina.

Articolo di carloiacono13/09/2023

©️ “GARCIA, NAPOLI” – FOTO MOSCA

Cosa accade nella mente di colui – mai specchiatosi – che ritenendosi il più bello del mondo un giorno si imbatte in uno specchio e guardando la sua faccia capisce di non esserlo affatto? Ha due strade: deprimersi per sempre per la sua errata cognizione o andare avanti con una nuova consapevolezza.

Il calcio, come la vita stessa, è un percorso attraverso il tempo, un cammino fatto di altezze e profondità, di inizi e chiusure. Nulla dura per sempre, tutto muta e la differenza vera è fatta da come si reagisce al cambiamento. Siamo quello che riusciamo ad essere. Napoli e il Napoli, ad esempio, hanno subito la sconfitta contro la Lazio come un pugno allo stomaco, un palo in piena faccia mentre si corre entusiasti verso la felicità.

I campioni iridati, che avevano stracciato lo scorso campionato, e inaugurato la nuova stagione con due trionfi, si sono inginocchiati ai biancocelesti e allo stesso tempo (scusate il gioco di parole) al “tempo tiranno” – l’inesorabile scorrere naturale che induce a cambiamenti strutturali o concettuali inevitabili.

Oggi non possiamo essere quello che eravamo ieri, e domani non potremo essere ciò che siamo oggi, perché nonostante ci sentiamo gli stessi, intorno a noi nulla è come prima e ciò ci induce ad evolverci o a sopperire. Campioni, ad esempio, ci si diventa, non è detto che lo si resti. Campioni, ad esempio, lo si può essere di fatto o solo nella propria testa.

Nel mondo del calcio, o nella vita di tutti i giorni spesso si trova rifugio – o ci si ritrova soltanto a fare i conti – nella certezza (o nell’incertezza, nel secondo caso) dell’invincibilità. Un ventenne giovane e forte incosciente sfreccia a duecento all’ora in auto senza temere di andare a schiantarsi proprio per questa fiducia.

Succede poi che il botto avviene, e in un colpo solo affiorano tutte le vulnerabilità che si credeva non possedere. Il Napoli dell’anno scorso poteva tutto, oggi no. Gli azzurri si trovano in una fase di transizione – il cosiddetto periodo di adattamento – dovuto al cambio in panchina ed un calciomercato che ha avuto l’occhio più al bilancio e alle opportunità che alle reali necessità della rosa.

C’è alla base la stessa qualità di allora, quando nemmeno un undici di Dei poteva frenare gli azzurri, ma come dicevamo il nostro essere nonostante paia immutabile, si manifesta obbligatoriamente in forme differenti al variare delle condizioni esterne. Un allenatore diverso, metodi di allenamento nuovi, dinamiche innovative all’interno dello spogliatoio. Grandi geni hanno vissuto per anni come brocchi, grandi squadre hanno vinto meno di bande di ignoranti col coltello tra i denti.

Sul tema della mutabilità si sono affannate schiere e generazioni di filosofi, e senza scomodarli possiamo rintracciarla nel calcio semplicemente. Le tattiche di gioco cambiano, le squadre si rinnovano e i giocatori crescono e si evolvono, alcuni saranno campioni, altri dimenticati.

La nazionale olandese negli anni ’70, era famosa come “Arancia Meccanica”, non ce n’era per nessuno contro il loro calcio totale, tatticamente e tecnicamente superiore, o meglio questa era l’impressione che ne ricavavi. Quel modo di giocare ha segnato un’epoca, ma solo sul piano delle idee. Quegli Oranje sul tetto del mondo non ci sono saliti: due finali Mondiali, un terzo posto all’Europeo, zero titoli.

Erano i migliori sulla carta, sul campo… forse no. Perché non hanno iscritto il loro nome nell’olimpo dei vincenti, come Beckenbauer, l’Argentina della “vergogna”, Panenka e il suo cucchiaio. Il ”tempo tiranno” ha fatto il resto, le generazioni cambiano, i calciatori si ritirano, e il dominio svanisce, un giorno anche il ricordo lo farà.

Quell’Olanda capì il suo destino probabilmente troppo tardi, forse avrebbe avuto il tempo di cambiarlo oppure era semplicemente scritto così.

Il Napoli di Garcia, ad esempio, di tempo ne ha. Il francese sta cercando di portare un nuovo stile di gioco, la sua impronta, con una rivoluzione a metà – nonostante si dica che queste siano dirette naturalmente al fallimento – che aspira ad un cambiamento graduale rispetto al passato. Meno belli, meno in controllo, meno asfissianti, meno rigidi. Più liberi, fugaci, rapaci.

Non vuol dire meno vincenti, o almeno non per forza, dipende da quanta resistenza sarà fatta al cambiamento dai suoi ragazzi. Da quanto questi ultimi resteranno legati alle loro certezze. Da quanto saranno disposti ad accettare il fallimento attraverso i nuovi metodi messi al loro servizio per affrontare una nuova realtà, che li vedrebbe comunque spediti al baratro nelle vecchie vesti.

È una questione di “fiducia”, la fiducia nel processo di cambiamento, che è sempre scomodo all’inizio, nonostante sia l’unica via di salvezza, virtù fondamentale nel perseguire il benessere. Socrate disse che “la vera saggezza sta nel riconoscere la propria ignoranza”, o le proprie mancanze. Il Napoli ha l’opportunità di essere consapevole dei suoi punti deboli, deve trovare la fiducia di affrontarli, senza spaventarsi.

Nel calcio sempre come nella vita, capita di svegliarsi da un sogno, da una convinzione errata di ciò che siamo o di ciò che possiamo fare. Lo chiamano il “trauma del risveglio”. Crediamo di essere x e la realtà ci dimostra di essere y. Come dicevamo poc’anzi riguardo a chi si credeva bello che si imbatte in uno specchio.

Nietzsche scriveva che “ciò che non ci uccide ci rende più forti.” Questo può applicarsi al Napoli, può decidere di morire con negli occhi quella brutta faccia che si è palesata allo specchio, oppure trovare nel “risveglio” doloroso, una fonte di forza, nell’adattarsi una nuova rinascita.