La sindrome dell’infinito

Quando un tifoso prende coscienza che tifare Napoli è quasi patologico per le conseguenze che ne scaturiscono, non può fare a meno di "naufragar dolcemente in questo mare".

Articolo di Redazione SDS17/09/2021

© “NAPOLI-ESULTANZA”– FOTO MOSCA

L’altro ieri un amico mi telefona e mi chiede: “vuoi scrivere un articolo su Sport del Sud su queste prime tre giornate del campionato di serie A 2021-2022 del Napoli? Tu sei un caso patologico, la tua storia da tifoso del Napoli è un caso patologico”. Non pago di questa richiesta, dopo qualche minuto dalla fine della nostra conversazione telefonica, crea un gruppo WhatsApp con altri amici. Il titolo non poteva discostarsi dal trend: “i patologici”.  E poi sarei io il “caso patologico”.

Questa richiesta ha avuto il merito di produrre in chi scrive una presa di coscienza della propria “malattia”, la consapevolezza di riconoscerne i sintomi ed uno sfrenato desiderio di descriverla in una sorta di anamnesi, intesa come raccolta ed analisi dei disturbi.  

Quando conobbi la mia futura e, sia ben inteso, attuale moglie, lontana anni luce dalla passione calcistica, mi venne chiesto, con un certo aristocratico distacco: “ah, ma tu sei un tifoso di calcio?Io le risposi che non ero un tifoso di calcio, bensì un tifoso del Napoli, cosa ben diversa. Scientificamente, ce ne sono pubblicazioni ed articoli che descrivono il fenomeno, esso rappresenta una “devianza” o meglio una “variante”, termine sicuramente oggi più in auge, della disfunzione da semplice tifo calcistico.

Consapevole della gravità della micidiale combinazione, il suo sguardo assunse un livello di gran lunga superiore a quell’ “albagia” (uso questo termine ben conscio che ne esiste uno in vernacolo partenopeo molto più diretto ed efficace) che aveva inizialmente manifestato, divenendo quasi cerea in volto. Comprensibile!!!!

La sindrome da tifoso del Napoli, nell’ambito dei “salotti” distaccati dall’agone calcistico, si accosta notoriamente ad un soggetto con sembianze di un ominide solo nella scala evolutiva appartenente al genere Homo, invasato, apparentemente evoluto, ma dal linguaggio – utilizzato in occasione degli eventi calcistici – non del tutto perfezionato e frutto di un’unione disordinata di suoni ed esclamazioni prive di senso, di solito accompagnate da fremiti del corpo improvvisi e non coordinati.

Non è da tutti poter affrontare una vita in comune con un compagno con tale evidente morbosità .

Immaginate di dover abbandonare la possibilità di una libera determinazione nella scelta della propria vita di relazione. In primis nelle uscite serali, sia infrasettimanali che del fine settimana, se non previa consultazione del diretto interessato al fenomeno, nelle c.d. gite fuori porta, come le definivano i nostri genitori, cadenzate – sia per le date che per gli orari – rigorosamente ad inizio anno in base al calendario della stagione calcistica. Ancora. Dover fronteggiare l’impossessamento compulsivo dello strumento televisivo, con “deportazione” della povera malcapitata o anche malcapitato, ben più raro fortunatamente, in altro luogo, ovvero stanza, dell’immobile nel quale viene perpetrato il misfatto.

A ciò si aggiunga una predisposizione militare con strategia predefinita dei settori del divano, o delle sedie in caso di presenza di un numero superiore di “pazienti fibrillanti”, da occupare con relativa indicazione, anche in tal caso verbale (solo in rari casi scritta) del nominativo del momentaneo detentore del posto a sedere. Con riserva, anche questa di natura orale, ma alla bisogna può essere formalizzata, di modifica del settore assegnato in presenza di un andamento dell’evento non favorevole con predisposizione di amuleti e simboli di divinità, di solito identificate con una numerologia ben definita dal magico numero dieci.

Senza contare il post evento traumatico, differentemente orientato a seconda dell’esito dello stesso. Si va da uno stato assolutamente catatonico, evento negativo, nel quale l’azione si svincola quasi interamente dalle motivazioni razionali ed affettive (sindrome dissociativa) a cui segue l’oscuramento di qualsivoglia contatto televisivo che riguardi – anche indirettamente – il fenomeno vissuto,  all’esaltazione universale che si celebra nella glorificazione dei propri idoli con incensamento, encomio, lode, al quale segue un totale trasferimento, quasi fisico, nel mezzo televisivo, condividendo con lo stesso ogni minimo passaggio che rievochi, anche solo con immagini, il vissuto.

Fortunatamente per questa sindrome non vi è cura, né farmaco, né vaccino, ma solo una sfrenata necessità di viverla, iniziando tale necessità dalle prime luci dell’alba del giorno deputato.

La ricerca scientifica ha dovuto constatare l’assoluta inadeguatezza di qualsiasi protocollo anche per l’evidente difficoltà di sottoporre i “pazienti” ad esperimenti.

L’unico dato che se ne può ricavare è l’amore incondizionato di chi ci accoglie, ci segue, ci coccola, non impedendoci di “naufragar in questo dolce mare”. Ecco, si appropinqua, mancano solo poche ore.

Articolo scritto per la rubrica “Le vostre voci” di Sport del Sud da Antonello Grassi.