Nello sport, il dato è tratto: quando lo statistico diventa statista
Lo statistico-statista irrompe e incombe. Siamo assediati, accerchiati, bombardati: sui giornali, in tv, dal web.

Expected goals? No, grazie. Algoritmo? Vade retro. Database? Data chi? Lo statistico-statista irrompe e incombe. Siamo assediati, accerchiati, bombardati: sui giornali, in tv, dal web. I grafici fischiano come pallottole, la vecchia guardia combatte ormai da porta a porta, da muro a muro. Come i russi contro i tedeschi a Stalingrado.
È il linguaggio che va, bellezze, e allora è inutile fingere di non saperlo o di non accettarlo. Se in un pezzo non citi almeno una volta «match analyst», non sei nessuno. L’inglese, che fu l’idioma fondante del foot-ball, ha ripreso potere. Il calcese, o il «Covercianese», come lo ha definito Sebastiano Vernazza su «Sportweek» (e dai..), sta diventando una specie di colorito esperanto che, in teoria, dovrebbe avvicinare il lessico del passato allo slang del presente: finché «average» (media, al bar dell’angolo) non li separi. Viceversa, corre il rischio che la valanga di neologismi e sinonimi lo zavorri di uno spirito più modaiolo che creativo e/o alternativo.
La caccia al dato ha assunto livelli di crassa parodia e viscerale paranoia. Non ci voleva un genio, e nemmeno un’agenzia specializzata, per capire che martedì scorso, con il Newcastle, il Milan avrebbe meritato di chiudere il primo tempo in vantaggio di un gol e mezzo. Più in generale, il famigerato possesso palla aveva toccato vette di esilarante filosofia, celebrato addirittura come «il» fine e non «un» mezzo. Poi è arrivato il 5-1 dell’ultimo derby, con l’Inter al 40% e il Milan al 60%, e allora da Coverciano a Fusignano hanno convocato un summit d’urgenza per uscirne in decenza, se non proprio in bellezza.
Gianni Brera, lui sì inventò un vocabolario. Oggi, in compenso, si cerca di adeguare l’ovvio all’oppio del «diverso», dal momento che tutti vorrebbero lasciare un segno: o, meglio ancora, un lemma. «Centrocampista» deve così dividere il suo metaforico tinello con «intermedio».
Gianni Rivera stazionava a ridosso delle punte. Non ancora «sotto punta», come piace strillare ai tele-imbonitori della post-modernità. I cambi di regolamento hanno partorito termini oggettivamente inediti e tatticamente singolari: la «costruzione dal basso» ha un senso e trasmette un’idea, a patto che non si ghigliottini il suo contrario, «distruzione dal basso», micidiale formula che racconta i suicidi dovuti all’eccesso di zelo, e di ricamo. Nell’Union Berlino capace di spremere il Real al Bernabeu, Leonardo Bonucci ha fatto il «battitore libero». Gergo da bettola, temo, poiché nei salotti preferiscono «centrale». E catenaccio? Guai a pronunciarlo, o solo immaginarlo: si verrebbe trattati come bestemmiatori in chiesa.
Gira e rigira, è l’esubero di calcoli a far sorridere i ragazzi che si avvicinano allo sport, le pittoresche proiezioni, i grotteschi coefficienti, quel macello di percentuali che fissa la riuscita dei passaggi, per esempio, senza spiegarne la vitalità ed, eventualmente, le difficoltà. Per tacere dei tiri in porta: ormai ci provano tutti da tutte le posizioni, anche le più sconce. L’importante è finire nella colonnina giusta, hai visto mai che un procuratore «figlio di» non riesca a trasformare un missile in curva in un aumento d’ingaggio?
Pantaleo Corvino, l’architetto del miracolo Lecce, lo ha confessato a Luigi Garlando: «Un’eresia. L’algoritmo pensa, ma non vede». Il marciapiede rimane la bilancia più energica e universale per pesarsi. Evan Esar, umorista americano, diceva: «La statistica è l’unica scienza che permette a esperti diversi, usando gli stessi numeri, di trarne diverse conclusioni». Per tacere di «sinistro» e «sinistra»: morti; massacrati. Prima o poi salterà fuori che Giorgio Napolitano era di «mancina».