Europa: ciao al gol «doppio», pari opportunità fra casa e trasferta
Ritorno al passato in Europa: un 2-1 e uno 0-1 porteranno, di nuovo, ai supplementari.

© “STADIO” – FOTO MOSCA
Attenzione, battaglione. Andare avanti a marcia indietro. È un classico della politica, un vezzo dello sport, un vizio della terza età. Il ritornismo. Sergio Mattarella si farà altri sette anni di presidenza dopo aver inflitto un fiero e sdegnato no ai nostalgici del «suo» Colle. In atletica leggera, per favorire i record del mezzofondo, si liberarono le «lepri»: salvo scoprire che, a volte, lepri lo erano un po’ troppo. Tiravano da matti, poi si fermavano, addirittura, e rieccole in pista a lanciare l’ultima volata. Vade retro. Nel nuoto, i «facili» costumi avevano moltiplicato prestazioni troppo aliene per non seminare sospetti. E allora, stop.
Non paga di aver recuperato la terza coppa (battezzata «Conference League», non ha nulla in comune con la defunta Coppa delle Coppe se non l’idea, vaga e malinconica, di evocarne lo scheletro), l’Uefa ha deciso di azzerare, nei turni a eliminazione diretta e a parità di reti, il valore doppio dei gol segnati in trasferta. Una scossa. Ci interessa subito da vicino. Mercoledì, nell’andata degli ottavi di Champions: Inter-Liverpool. Giovedì, nell’andata dei playoff di Europa League: Atalanta-Olympiacos, Barcellona-Napoli, Porto-Lazio.
Parlare di svolta epocale è troppo. Accontentiamoci di svolta. Ha contribuito, non poco, la diffusione del Covid. La chiusura degli stadi ha annullato gli influssi astrali e speciali del fattore campo. La regola venne introdotta nel 1965, quando ancora i calendari non erano intasati, ma già gli spareggi costituivano una zavorra e la monetina un ibrido in bilico grottesco fra lotteria e roulette russa. Restavano sempre i rigori, come scansa-sorteggio. Sarebbero stati inaugurati, racconta Franco Esposito nel bel libro «E continuano a chiamarli lotteria», Absolutely Free editore, il 30 settembre 1970. Sedicesimi di Coppa delle Coppe: Honved-Aberdeen a Budapest. Arbitro, e chi se no?, don Concetto Lo Bello. Passarono i magiari. Gli illuministi ne presero atto. Gradivano che fosse il gioco, comunque, a orientare il risultato. Non le riffe dal dischetto. E così tennero botta.
Millenovecentosessantacinque. In Inghilterra moriva Winston Churchill. Negli Stati Uniti assassinavano Malcolm X, leader del Movimento dei musulmani neri. Con il romanzo «Addio alle armi» di Ernest Hemingway nasceva la collana degli «Oscar Mondadori». Nello sport: l’Inter di Helenio Herrera faceva razzia, scudetto e Coppa dei Campioni; Felice Gimondi vinceva il Tour de France; l’Olimpia Milano di Cesare Rubini, sponsorizzata Simmenthal, il campionato di basket. Al Festival di Sanremo trionfavano Bobby Solo e i Minstrels con «Se piangi, se ridi».
Per la cronaca, e per la storia, la prima squadra a fruirne fu la Honved: 3-2 a Praga e 1-2 a Budapest con il Dukla. Ottavi di Coppa delle Coppe 1965-’66, ungheresi ai quarti, cechi kaputt. I padri ispiratori miravano a smuovere le acque, a ricavare bollicine dalla formazioni «migranti». Alla lunga, viceversa, rimasero in bolletta. Spiazzati. Chi cominciava in casa covava la paura folle di beccare un gol che avrebbe potuto condizionargli il ritorno. Chi giocava fuori cercava, sì, di darsi un contegno e segnarne «almeno» uno, non però con l’ardore su cui l’ala riformista aveva investito.
Dal virus al Var, l’«effetto Bernabeu» era stato arrestato e limitato. Tanto valeva rilasciare la normalità dei gol. E abolire la differenza di peso diventata troppo ambigua per non trasformare il doppio (del valore) in doppiezza (della tattica). Un 2-1 e uno 0-1 porteranno, di nuovo, ai supplementari. Ordalie più aperte? Sono curioso. Cinquantasette anni dopo.