Dal lancio lungo al contropiede: continua la (mia) caccia ai luoghi comuni
Il contropiede non è un reato. Uno degli esempi è la ripartenza brutale di Kulusevski durante Manchester City-Tottenham 2-3 del 19 febbraio.

©️ “CONTE” – FOTO MOSCA
Ignoravo che dare del “contropiedista” costituisse un’offesa. Nello sport, specchio del Paese, circola molta gelosia. Più si è famosi, più si diventa permalosi. Gli inventori di “qualcosa” sfuggono ormai ai censimenti, tanti sono coloro che millantano collier di brevetti. Il lessico è stato ripulito e adeguato al catechismo della fazione egemone. E così “contropiede”, più che la fede, inquadra e bolla la fedina.
Lo spunto di cronaca viene da Manchester City-Tottenham 2-3 del 19 febbraio. Traduzione per coloro che considerano la panchina un altare: Pep Guardiola contro Antonio Conte. Il mondiale dei massimi fra “papi”. Il detonatore è stato l’arringa del Pep: “Dopo il primo gol, gli Spurs si sono difesi molto bassi e in maniera incredibilmente compatta. Hanno giocato come mi aspettavo, sono stati bravi a creare spazio per il contropiede”.
“Spazio per il contropiede”. Non lo avesse mai detto. Antonio ha risposto per le rime: “Counterattacks?!? Maybe no”. Contrattacchi? Forse no. Se è vero che l’1-0 di Dejan Kulusevski è frutto di una ripartenza “brutale”, con Son che pugnala alle spalle la Maginot spericolata degli avversari (a metà campo, su longitudini zemaniane) – e, dunque, contropiede purissimo – è altrettanto vero che la doppietta di Harry Kane scaturisce da splendide processioni a difesa schierata. E allora, chi ha “vinto”? Guardiola, ai punti.
Premesso che tutti o quasi, persino il Chelsea di Thomas Tuchel, contro il City rinculano e si chiudono a chiave, tale è la dittatura delle sue geometrie, Conte ha alzato un catenaccio degno della nostra storia e delle sue esigenze. Non solo: Kulusevski terzino su Joao Cançelo. E, sia scritto senza malizia, ha fatto benissimo. Obiezione: e il gol? La classica ora d’aria.
I topi d’archivio, assatanati di numeri, hanno cercato di trafugare alcuni dati. Il possesso palla, per esempio: 72% il City a 28% il Tottenham. I tiri: 21 a 6. Occhio, però: in porta, 4 a 5. Un inno alla mira degli Spurs. Voce dal fondo: Kulu terzino, d’accordo, ma l’1-0 l’ha siglato proprio lui. Uffa, fare catenaccio non significa murarsi vivi. Significa barricarsi e cogliere l’attimo. Come, nei Sessanta, faceva Giacinto Facchetti. Contropiede, poi transizione, quindi ripartenza: il vocabolario ha cercato di mascherarne le origini plebee, per paura che nei salotti lo smercio del lemma potesse venir equiparato a un rutto tattico. Gli ignoranti inventano le mode e i saggi le seguono, ha scritto qualcuno. Il discorso vale per il “Lancio lungo”, deportato nella Siberia delle cianfrusaglie, marcato a vista da secondini truci e foraggiati dall’ordine nuovo.
Insomma: bravo, Conte, per quello che ha fatto (il catenaccio) e per come lo ha fatto (di trincea, di baionetta). Facciamo un salto, adesso, a Napoli-Barcellona 2-4 di Europa League. La rete di Jordi Alba, quella che ha spaccato l’equilibrio, nasce da un angolo che Lorenzo Insigne batte male, corto, per un compagno distratto o lavativo. Altro che tiki taka: le “sartine” catalane inscenano una volata furibonda da area ad area tipo “Arrivano i nostri”, con Adama Traoré metà Nembo Kid metà Usain Bolt.
Poi, sì, massicce sedute di ricamo, raffinate ed esclusive. E non più l’arma “rozza” del correre da invasati, lasciata ai famigli di Victor Osimhen. Non risulta che Xavi abbia bacchettato Traoré e Jordi Alba per aver disatteso il vangelo della Masia. Meno male. Il contropiede non è reato. Tranquillo, mister Antonio. E se qualche volta le vengono dei dubbi, perché nessuno è perfetto, si tuffi tra le pagine di Oscar Wilde e ne adatti la tranciante perfidia all’emergenza didattica. Questo passo, in particolare: “Signore [contropiede], scusatemi se non vi ho riconosciuto. Il fatto è che sono molto cambiato”.