Amarcord Berlusconi: fu il no di Fraizzoli a cambiare la storia di Milan e Inter
Prima del Milan, nelle idee di Silvio Berlusconi c'era l'Inter. Incontri e trattative, ma alla fine l'ex presidente Fraizzoli torno sui suoi passi, e la storia ne prese atto.

L’Italia è un Paese che sposa le regole e va a letto con le eccezioni. Ecco perché solo da noi Silvio Berlusconi poteva diventare quello che è diventato, in barba ai conflitti di interesse e alle «apologie» di reati (inerenti la frode fiscale, la corruzione di giudici, la prostituzione minorile) che ne hanno scortato e macchiato la carriera.
Uomo di destra, il calcio gli è servito per una rivoluzione estetica di sinistra, contro le tradizioni e le convenzioni. Il suo Milan, il Milan di Arrigo Sacchi e degli olandesi, incarnò una cesura profonda, radicale: di idee, oltre che di ideologie o «dané». Non nacque dal nulla, visto che Nils Liedholm proprio alla pene di segugio non aveva seminato, e di fermenti ce n’erano già stati: dal gioco corto di Corrado Viciani a Terni e Palermo al Torino olandesizzante di Gigi Radice; dal Napoli proto-zonarolo di Luis Vinicio al Vicenza di Gibì Fabbri e Paolino Rossi.
Quel Diavolo lì, in compenso, fu unico. E lo creò lui. Con la forza «delle» televisioni, con il fascino «della» televisione. E la miccia arrogante dell’intuizione. Il Cavaliere lo aveva acquistato nel febbraio del 1986. Tutto pressing e intensità, mobilitò e nobilitò l’alternativa al cosiddetto calcio all’italiana, tutto catenaccio e contropiede. C’è un però, e non è una piuma. Il primo obiettivo non era stato il Milan. Era stata l’Inter. Esattamente. Clamorosamente. Ne ha scritto, con dovizia di particolari, Vanni Spinella, raffinato giornalista di «Sky», sul «Guerin Sportivo». Per far luce sul caso, Vanni aveva intervistato il figlio dell’avvocato Peppino Prisco, Luigi Maria: «Quel giorno mio papà tornò a casa con due occhi che sembravano due fanali. “Faremo di nuovo grande l’Inter – mi disse – Ho conosciuto un giovane con delle grandi idee. Si chiama Bernasconi“».
Bernasconi, Berlusconi. Persino agli «eletti» capita di essere storpiati, pensate a «Caradona», la prima grafia di Diego Armando Maradona. «Quel giorno»: era, più o meno, l’autunno del 1972. Prisco senior ne era rimasto folgorato. Piani che andavano velocissimi, schizzi che sembravano Caravaggi. Proprietario e presidente dell’Inter è Ivanoe Fraizzoli. Il popolo frigge, deluso da un mercato sordo e grigio. Il padrone è stanco, da almeno un anno medita di mollare. Ma a chi? Al momento del dunque, non uno che butti lì un’offerta. Sino alla improvvisa epifania del non ancora Unto del Signore.
Silvio scalpita. Contatta Prisco tramite il senatore socialista Agostino Viviani, anch’egli avvocato e amico intimo dell’Alpino astemio. «Il monopolio della Rai non può essere eterno»: comincia così l’omelia di Sua Emittenza, che «già fantastica di abbinare alla squadra un canale tv, con la vendita della pubblicità». Prisco non ha dubbi. Altro che ciarlatano, lo prende di peso e lo accompagna da Fraizzoli, un tipo che sta al Berlusca come una suora a una soubrette. Esito del colloquio? Da Prisco junior, testuale: «”Lü l’è milanes?”, gli chiese il presidente. “Sì, certo”, rispose Berlusconi. “E quanti ann el g’ha?”. “36, dottore”. “Trentases? Tropp giuin. Se vedum fra des ann“, le parole con cui lo liquidò».
Il flirt è stato confermato da Sandro Mazzola. «Se vedum fra des ann», ricordate? Nel 1983, Fraizzoli attraversa l’ennesima crisi esistenziale, e Silvio sempre lì, in agguato. Secondo la testimonianza del Baffo, raccolta da Spinella, Ivanoe si disse disposto a cedere il 50% delle azioni. Ok, rispose Berlusconi. «Facciamo il 48%, dai», replicò Fraizzoli. E così sia, ribatté un Berlusconi sfibrato dalle cadenze amletiche. Ivanoe cadde: «Quando deciderò di venderla, la venderò tutta».
La storia ne prese atto. E si vendicò.