Il caso Var all’Europeo under 21: abbiamo dormito anche noi giornalisti
Vi raccomando i giornalisti. Non uno di noi che, saputo dei tagli alla tecnologia, avesse sollecitato Ceferin a scongiurare lo scempio.

Il problema, per Aleksander Ceferin, è che questa volta non potrà usare Andrea Agnelli come scudo. Era comodo, costava poco e pagava molto. Oggi non più. Oggi sono cavoli amari. Amarissimi. Da destra lo attacca José Mourinho. Piccato per i quattro turni di squalifica inflittigli dopo l’indegna gazzarra con Anthony Taylor, l’arbitro della finale di Europa League tra Roma e Siviglia, vinta dagli andalusi ai rigori.
Il Vate di Setubal, indignato, si è poi dimesso dal «Football Board» dell’Uefa, una dotta spremuta di allenatori ed ex giocatori che si occupa di studiare il calcio: per «migliorarlo» (uhm). Nel rispetto dei tempi, dei modi e delle mode, José l’ha fatto con una email a Zvonimir Boban: «Difendo il dovere della mia scelta, le condizioni in cui credevo non ci sono più». Morale: ai punti vincono gli gnomi di Nyon, dal momento che Taylor, pur confuso e mediocre, non stuprò il risultato. Disgustosa fu la reazione dello sciamano.
A sinistra, viceversa, l’Uefa dell’avvocato sloveno straperde per k.o. nel caso dell’Europeo Under 21, in corso di svolgimento tra Georgia e Romania. Come si fa a escludere Var e Goal line technlology? Così facendo, si cade nelle seduzioni fatali e letali della roulette russa, piatto forte del film «Il cacciatore» di Michael Cimino. Che sia toccata all’Italia puntarsi la pistola alla tempia e restarci secca, non sposta i termini e i confini dello scandalo. La Francia, vittoriosa per 2-1, non c’entra un tubo. C’entra l’olandese Allard Lindhout, il sicario estratto alla lotteria delle trame. Passi per il mani-comio di Pierre Kalulu e per la gamba tesa, molto tesa, di Amine Gouiri (su Caleb Okoli) a monte del raddoppio di Bradley Barcola, peccato reso mortale dallo sgorbio di Destiny Udogie.
E’ di fronte all’incornata di Raoul Bellanova che cascano gli asini, come si dice in gergo: palla dentro, di almeno trenta centimetri, nonostante il do di petto di Castello Lukeba. Si era agli sgoccioli del 92’: gol chiaro, palese. Sarebbe stato il 2-2. Povera Uefa. Ne esce crivellata e vilipesa. D’improvviso, un giorno del mese di giugno del 2023, si è tornati all’arbitro unico, vecchio. In balia degli episodi, delle diottrie sue e dei suoi collaboratori. Le crocerossine al video, recuperato in fretta e furia dai quarti in avanti, lo avrebbero assistito nelle azioni più scabrose, i sensori della Goal line gli avrebbero evitato la più barbina delle figure.
Da Pierluigi Collina a Roberto Rosetti, tutti devono mettersi in testa che il «Lobellismo» appartiene alla nostalgia. Volenti o nolenti, si dirige in due. Uno in campo, l’altro alla tv. E se a certi livelli possono essere ancora tollerati brani dell’antica liturgia, nei tornei di vertice devono essere banditi. Tassativamente. Batavo era anche Danny Makkelie, l’arbitro che, il 27 marzo 2021 a Belgrado, non aveva colto – sul punteggio di 2-2 – una rete di Cristiano Ronaldo al 93’ di Serbia-Portogallo, gara valida per le qualificazioni mondiali. Pure lì, né Goal line né Var: venne ghigliottinato l’assistente Mario Diks. L’errore solca la vita, non solo lo sport, ma le bilance ondivaghe che conducono ai due pesi e alle due misure sono pericolose e spericolate armi di ingiustizia (e incazzatura) di massa.
Vi raccomando i giornalisti. Non uno di noi che, saputo dei tagli alla tecnologia, avesse sollecitato Ceferin a scongiurare lo scempio. Non uno. A cominciare da chi scrive. La differenza la fa il coraggio delle analisi pre-ventive, non la comodità di quelle post-ventive. Leo Longanesi vedeva lontano: «Quando potremo dire tutta la verità, non la ricorderemo più».