Romagna solatia dolce paese: dal visionario Arrigo al missionario Zac (auguri doppi!)
Il 1° aprile è passato, ma qualcosa o qualcuno resta sempre. Non sono pochi, e non sono fatui, i nati in questo giorno di pesci e di nesci.

Il 1° aprile è passato, ma qualcosa resta sempre. Qualcosa e qualcuno. Rovesciando il motto latino: vita, magistra historiae. Non sono pochi, e non sono fatui, i nati in questo giorno di pesci e di nesci. Dal momento che si è appena («non») giocata Napoli-Milan, e presto si rigiocherà, comincio da Milan Kundera (1929), che a 94 anni è «scomparso» dalla mondanità per camminare nell’immortalità. Lui, l’autore de «Il libro del riso e dell’oblio» e, soprattutto, de «L’insostenibile leggerezza dell’essere». Poi Toshiro Mifune (1920), giapponese, tra gli attori prediletti di Akira Kurosawa. Dalla memoria del giornalismo affiora Ettore Mo (1932), strepitoso inviato: di guerra e di terra. Parola d’ordine: «scarpe diem».
E nello sport? La compagnia è ottima e abbondante. Clarence Seedorf (1976), l’unico giocatore ad aver alzato la Champions League sotto tre bandiere (Ajax, Real Madrid e, in due rate, Milan). Roberto Pruzzo (1955), o rei di Crocefieschi che Enzo Bearzot sacrificò, al Mundial del 1982, sull’altare di Paolo Rossi. Giancarlo Antognoni (1954), il putto che si offrì in sposo alla Fiorentina e mai, pur tentato, trescò o chiese il divorzio. Per arrivare ad Arrigo Sacchi (1946) e ad Alberto Zaccheroni (1953), settant’anni tondi. Sono entrambi romagnoli, Arrigo di Fusignano, Alberto di Meldola. Ma se uno, il primo, è stato un visionario, il sodale, Zac, è stato un missionario. Ha allenato un fracco di squadre in giro per il mondo, compresa la nazionale nipponica che guidò alla conquista della Coppa d’Asia.
Stesse zolle, diversi stili. Arrigo grande sciamano e Alberto grande ciambellano, uniti dall’amore per il calcio e dalla passione di migliorarlo. Nel tardo pomeriggio del 10 febbraio, mister Alberto cadde nella sua abitazione di Cesenatico e batté la testa. Trasportato d’urgenza all’ospedale Maurizio Bufalini di Cesena, operato e ricoverato in terapia intensiva, ha superato il periodo più critico e si sta pian piano riprendendo. Auguri doppi, dunque.
Sia Sacchi sia Zaccheroni hanno pilotato il Milan di Silvio Berlusconi, ricavandone uno scudetto (1988, 1999). Arrigo, per la cronaca, anche molto altro: 2 Coppe dei Campioni, 2 Supercoppe d’Europa, 2 Coppe Intercontinentali e 1 Supercoppa di Lega. Le sue lavagne sfondarono la tradizione. Zac non fu meno esploratore e, a modo suo, innovatore. A Udine, laboratorio tra i più fertili, sperimentò il 3-4-3, schema che, in alternativa al 4-4-2 fusignanista, gli avrebbe garantito una schietta e calorosa ovazione dai laureandi di Coverciano.
La scintilla scoppiò al Delle Alpi di Torino, il 13 aprile 1997, in occasione di Juventus-Udinese 0-3 (ripeto: zero a tre). La Juventus di Marcello Lippi e della Triade. Tre minuti, e i friulani rimangono in dieci: l’arbitro, Roberto Bettin, espelle Régis Genaux per insulti «vaganti». Madama era un museo corazzato, con Zinedine Zidane a dipingere e Bobo Vieri a scolpire. Ci si aspetta che Zac tolga una punta. Invece no, col cavolo. Chiama time-out e disegna un estemporaneo 3-4-2, con Màrcio Amoroso e Oliver Bierhoff confermatissimi al fronte. Il coraggio paga. Fioccano i rigori (due, la Juventus: sbagliati; uno, l’Udinese: realizzato), l’inferiorità numerica annega fra le onde della doppietta di Amoroso e dell’acuto di Bierhoff.
Zac capisce di aver scoperto la sua America. Deposto con tutti gli onori il 4-4-2 d’ordinanza, la domenica successiva, a Parma, riparte dal 3-4-3 integrale, una sorta di sistema adattato (3-2-2-3). Morale: 2-0 in bellezza e a fine stagione, in classifica, dal dodicesimo al quinto posto, con relativa, storica qualificazione alla Coppa Uefa.
Sono ragnatele d’autore che valgono un brindisi. Cin cin