Dai Giochi al campionato: le ragazze del volley e quel «muro» diventato un ponte
Cinque angoli del Beck dai Giochi: la finale del tennis, le ragazze del volley, il ritiro della Carini, la Spagna del calcio, la Battocletti, la pallanuoto rapinata.

In attesa del campionato, Bercy beaucoup ai Giochi. Dalla tonsillite di Jannik Sinner alle lacrime di Gimbo Tamberi.
1. Se mi chiedete una cartolina universale, non sarà la Senna brodosa, e neppure l’irruzione hollywoodiana di Tom Cruise. E’ la finale del tennis, tra Novak Djokovic e Carlos Alcaraz: 37 anni il serbo, 21 lo spagnolo. Oltre che un incontro, uno scontro generazionale. Passato, presente e futuro recitati, frullati e distribuiti al ritmo di Guerre stellari: 7-6, 7-6 per Djokovic. Dal «Noli me tangere» di Gesù a Maria Maddalena al «Nole me tangere» di Claudio Lotito all’eroe del Roland Garros.
2. Se invocate, viceversa, un amarcord italico, le ultime, come non sempre succede, sono state le prime. Le ragazze del volley campionesse olimpiche, traduzione di «la storia sono loro». All’ora della pennica domenicale hanno sbranato le «State Unite». Appassionato di molto ed esperto di nulla, mi inchino a Julio Velasco, un tecnico al quale devo una della massime che più mi hanno commosso ed entusiasmato («Charlie Brown dice a Snoopy: “Un giorno moriremo tutti”. E Snoopy gli risponde: “Sì, ma tutti gli altri giorni no”»). A Paola Egonu, a Myriam Sylla, a Ekaterina Antropova, a Sarah Fahr, a tutta l’Italia meticcia e di radici mobili che hanno fatto del «muro» un ponte verso la vita (e non una fuga da essa). Vannacci, tiè.
3. Chi si ritira, ha sempre torto. Per questo, zero ad Angela Carini che, dopo aver incassato un pugno di Imane Khelif, ha deciso di abbandonare. Che l’eccesso di testosterone abbia spinto la Federazione internazionale di Pugilato a bocciare l’algerina e il Cio a promuoverla, è contraddizione palese e grottesca. Sto con Khelif e con Francesco Damiani, argento a Los Angeles ‘84 tra i supermassimi, campione del mondo nel 1989 ed ex ct azzurro: «Pessima figura. Non so che cosa le sia scattato, ma non puoi salire sul ring e abbandonare al primo cazzotto. E dire: “Mi ha fatto malissimo”. E quando mai i pugni in faccia sono carezze?».
4. Che barba, la Spagna del calcio. Nell’ordine: la Champions con il Real di Carlo Ancelotti, poi l’Europeo con Luis de la Fuente, quindi l’Europeo under 19 con José Lana e, last but not least, l’oro olimpico con Santi Denia. Ecco: se escludiamo Carletto, non risultano né risaltano tecnici che abbiano creato o inventato qualcuno, qualcosa. Se mai, plasmato. E occhio ad Adrian Bernabé, 23 anni, mezzala del Parma e della «Roja»: ne scrissi proprio qui, su «Sport del Sud» in epoca non sospetta.
4. Nadia Battocletti, quarta e di legno nei 5000, seconda e d’argento nei 10000. Straordinaria. Riguardatevi i finali. Non l’arrivo. Gli ultimi duecento metri. E’ l’unica ombra bianca in un grappolo di sagome scure. La risposta alle differenze, il marameo ai luoghi comuni, il mondo che insegue il terzo mondo, e una trentina di madre marocchina, lontana dai raduni federali, che salva l’onore a un Paese accartocciato su domande tipo «siete sicuri che Larissa Iapichino sia italiana?».
5. La protesta della pallanuoto rapinata. Spalle agli arbitri. Troppo viscerale, al netto dell’enormità del sopruso, per non rimettere in gioco gli «aguzzini». Respinto il ricorso, altro non resta che accettare: la qual cosa non significa piegarsi. Mica hanno rigiocato Inghilterra-Germania Ovest del 1966 per il gol fantasma di Geoff Hurst o Argentina-Inghilterra del 1986 per la mano (de Dios) di Diego Armando Maradona. Per tacere della finale del torneo dei basket del ‘72 a Monaco, Urss-Usa 51-50, nonostante Aleksandr Belov avesse realizzato il fatal canestro nei tre secondi imposti da William Jones, il Blatter della Fiba. Com’era il motto del barone De Coubertin? L’importante è partecipare. E cosa cantavano The Rokes? «Bisogna saper perdere». Buone, queste.