Allenatori, la scuola toscana: da Picchi «rapito» giovane al rinascimento di Spalletti e Sarri

Nel calcio, la scuola toscana degli allenatori ha scritto capitoli indelebili e prodotto, addirittura, un campione del Mondo.

Articolo di Roberto Beccantini24/10/2022

©️ “SPALLETTI” – FOTO MOSCA

Nel calcio, la scuola toscana degli allenatori ha scritto capitoli indelebili e prodotto, addirittura, un campione del Mondo: Marcello Lippi. Un caratterino che vi raccomando ma anche, secondo l’avvocato Gianni Agnelli, «il più bel prodotto di Viareggio dopo Stefania Sandrelli». Fin dai tempi dei Medici, banchieri aperti agli affreschi e non solo agli intrighi, l’arte costituisce un assiduo riferimento di creatività. Se Lorenzo il Magnifico inaugurò a Firenze una «palestra», il Giardino di San Marco, dove studiò persino Michelangelo, Luciano Spalletti sta scolpendo Khvicha Kvaratskhelia e decorando un Napoli degno della Galleria degli Uffizi. «Lusciano» è di Certaldo, culla di Giovanni Boccaccio. Ha l’aria mistica di un Rasputin finito in missione a Mergellina. Potrà sempre raccontare di aver «addestrato» la famiglia Icardi, all’Inter, e la famiglia Totti, a Roma.

Renzo Ulivieri, di San Miniato, è l’attuale presidente dell’Associazione di categoria. Uomo di sinistra, e di sinistri scatti, a Bologna entrò in rotta di collisione con Roberto Baggio: orgoglio e pregiudizio. Nato per caso a Napoli, Maurizio Sarri è, per scelta, amante del possesso, dei triangoli, della palla avanti e ricamare. L’esatto contrario di Massimiliano Allegri, livornese, che sostituì alla Juventus per aprire un ciclo durato il lampo di uno scudetto. L’ultimo dei nove. E’ proprio a Napoli che Sarri aveva realizzato il sogno rivoluzionario dei diciotto «titolarissimi» con i quali andare all’assalto della Bastiglia, impresa sfiorata e celebrata. Occhio alla sua Lazio: una sinfonia, a Bergamo. Sulle tracce dell’epopea di Tommaso Maestrelli, gran pisano e gran condottiero. Nostalgia Chinaglia.
Se «C’era Guevara» è un’ossessione ambulante, con sigaretta e alibi sempre a portata di mano (una volta il campo, un’altra gli arbitri), Max è il classico studente che di un libro sfoglia alcune pagine nella speranza che il professore lo interroghi su quelle. A pancia piena e dopo aver rifiutato il Real (ma si può?).

Un altro livornese è Walter Mazzarri: fece di una Reggina penalizzata un piccolo, croccante capolavoro e condusse il Napoli nella modernità dell’Europa. Il Napoli dei tre tenori: Marek Hamsik, Ezequiel Lavezzi, Edinson Cavani. Quando gli scappa la frizione, si aggrappa a ogni tenda possibile e immaginabile, dal vento alla pioggia. Ultimo approdo, Cagliari. Isola senza tesoro.
Massimiliano Alvini è di Fucecchio, come Indro Montanelli, e sta cercando di salvare la Cremonese con il coraggio. Alessio Dionisi, da Abbadia San Salvatore, ha ereditato il testimone da Roberto De Zerbi e, nonostante le cessioni di Gianluca Scamacca e Giacomo Raspadori, continua a far giocare il Sassuolo a petto in fuori. Aurelio Andreazzoli, massese, appartiene alla tribù degli artigiani: ha salvato l’Empoli per poi venirne bruscamente allontanato. Non si può non ricordare, scartabellando in archivio, il «casino organizzato» del viareggino Eugenio Fascetti, riserva di Omar Sivori chez Madama, e il tremendismo di Nedo Sonetti, ancora oggi venerato dalla torcida torinista. Piombinese come Nedo (ed Enzo Riccomini, simbolo della Pistoia felix), Aldo Agroppi non ebbe fortuna, da Firenze a Perugia, ostaggio dalla depressione e paladino dei deboli. Lo ha confessato in un libro, «Non so parlare sotto voce»: titolo che non ha bisogno di sommari (né di somari). Aldo detesta la Juventus ma perse la testa per Sivori.

Fiorentino è Marco Baroni. Siglò il gol dello scudetto-bis del Napoli, pilota il Lecce con piglio garibaldino. Lui, ex difensore e tecnico per niente difensivista. Fiorentini sono anche Leonardo Semplici, artefice del miracolo Spal, e Gabriele Cioffi, carro attrezzi dell’Udinese (dopo Luca Gotti) e fresco di esonero a Verona. Corrado Orrico, di Massa, è il visionario che, con la zona, tentò di sedurre l’Inter. Meglio da affabulatore, nei salotti tv. E Cristiano Lucarelli? Livornese, centravanti di lotta e mai di governo, sta guidando una Ternana da vita «alta». Ternana che il «gioco corto» di Corrado Viciani, da Bengasi a Castiglion Fiorentino, nutrì e galvanizzò. Chiudo con un altro labronico. Armando Picchi. Il libero della Grande Inter. Reclutato dall’albeggiante Juventus di Giampiero Boniperti e Italo Allodi, venne rapito dal destino sul più bello, nel 1971. Aveva 35 anni.
Maledetti, benedetti toscani: fumanti o fumati, mai cenere.

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