Il Napoli di Spalletti, l’Inter di Inzaghi: perché belli, perché diversi

Approfittiamo della sosta per le Nazionali per proporvi un quesito: meglio l'Inter di Inzaghi o il Napoli di Luciano Spalletti?

Inter, NapoliFoto Mosca
Articolo di Roberto Beccantini25/03/2024

Le Nazionali stanno ai campionati come le Olimpiadi di una volta alle guerre. Bloccano le sparatorie fra edicole, spezzano le invasioni dei Var disseminati per le tribune e per «li rami», costringono a uscire dai bunker del tifo per buttarsi su scaramucce che, senza gloriosi scalpi in ballo, tipo un Europeo o un Mondiale, non dico che annoino, ma di sicuro non titillano.

E allora tanto vale approfittarne per agitare dibattiti, per rischiare paragoni. Eccone uno: l’Inter di oggi o il Napoli di ieri? L’efficacia bella di Simone Inzaghi o la bellezza efficace di Luciano Spalletti? Mancano nove giornate al termine. La situazione è, ed era, questa:

Inter: 76 punti, 24 vinte, 4 pareggiate, 1 persa (con il Sassuolo); 71 reti fatte, 14 subite; più 14 sulla seconda (il Milan). Miglior difesa, miglior attacco. Capocannoniere, con 23 reti, Lautaro Martinez.
Napoli: 74 punti, 24 vinte, 2 pareggiate, 3 perse (con Inter, Lazio e Milan); 66 reti fatte, 21 subite; più 16 sulla seconda (la Lazio). Miglior attacco, seconda miglior difesa. Capocannoniere, con 21 reti, Victor Osimhen.

Veniva, mister Spiaze, da un quarto posto sul campo (terzo, dopo il meno dieci alla Juventus); da un terzo, anche l’abatone di Certaldo.
Passiamo agli schemi. Sin dai tempi laziali Inzaghino applica il 3-5-2, così riassumibile attraverso la formazione standard: Sommer; Pavard, Acerbi (De Vrij), Bastoni; Dumfries (Darmian), Barella, Calhanoglu, Mkhitaryan, Dimarco; Martinez, Thuram.

Spalletti, da parte sua, prediligeva il 4-3-3: Meret; Di Lorenzo, Rrahmani, Kim, Mario Ruiz; Anguissa, Lobotka, Zielinski; Politano, Osimhen, Kvaratskhelia.

Se all’epoca del Sarrismo il marchio di fabbrica era il cross da sinistra per il taglio di José Maria Callejon, nel Napoli del terzo scudetto, a 33 anni dall’ultimo, pompavano entrambe le catene – Giovanni Di Lorenzo e Matteo Politano da un lato, Mario Rui e Khvicha Kvaratskhelia dall’altro – mentre l’Inter moderna sgancia, a turno, coloro che nel Novecento avremmo spacciato per stopper e invece, nel Duemila, chiamiamo «centrali», «braccetti». Penso al gol di Bologna, fuga e toccata di Alessandro Bastoni dall’out mancino, sgrullata di Yann Bisseck dall’out destro.

Come ha ribadito in Nazionale, Spalletti adora il possesso palla, Inzaghi un po’ meno. Inoltre: Osimhen è un centravanti classico che rimanda più a Romelu Lukaku che non a Lau-Toro, vicino alla versione del «Kun Aguero».

Stanislav Lobotka, ribattezzato «Robotka» per il moto meccanico e perpetuo, è una lancetta d’orologio che, al massimo della forma e, quindi, della corsa, riduce le differenze di fuso. Marcelo Brozovic e Hakan Calhanoglu erano e sono registi più attratti dalla porta, radar di pause e di scosse.

La costruzione dal basso unisce le dottrine. E se Nicolò Barella è il tappo di champagne che esplode, il confine lo fissa Kvaratskhelia. Il dribbling, la voracità, le migrazioni forsennate dal gesso della linea laterale al cuore del fronte, là dove è pianto e stridore di denti. La facilità di tiro, la felicità di soluzioni lo hanno reso cruciale nella scacchiera – e nelle trame – del titolo. Sullo stesso piano di Lobotka e Osimhen.

L’Inter avanza a grappoli, cinque-sei uomini alla volta, e il dribbling lo ricava dai triangoli, dalle sovrapposizioni (di Federico Dimarco, per esempio) o dalle ante volanti di Marcus Thuram.

Ricapitolando: più bello il Napoli di Spalletti o l’Inter di Inzaghi? Diversi. Ma scelgo Kvara: come scriveva Vladimiro Caminiti, le parole sono ali.

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