Dietro quel “no”: la Joya della Roma, la gioia dell’Empoli
Dietro il “no” di Dybala, la “Joya” di una vita.

Il signor No, cioè Ludovico Peregrini: l’arbitro-notaio che Mike Bongiorno volle con sé a «Rischiatutto». The doctor No, cioè il protagonista malefico di «Licenza di uccidere», il film che scatenò la saga dell’agente 007 («Bond, James Bond»). Sino a fendere la polvere delle biblioteche e sfogliare «Bartleby lo scrivano, una storia di Wall Street», racconto di Herman Melville, l’autore di «Moby Dick». Il narratore è il titolare di uno studio legale di Wall Street, a New York. Decide di assumere un terzo amanuense. Risponde all’annuncio Bartleby, che si presenta in ufficio come una figura «pallidamente linda, penosamente decorosa, irrimediabilmente squallida!». In principio Bartleby esegue diligentemente il lavoro di copista, ma si rifiuta di svolgere altri compiti, sconcertando il suo principale con la risposta «preferirei di no» (nell’originale, «I would prefer not to»). Poi smette, fornendo come unica spiegazione la medesima frase.
Il no di Paulo e Oriana Dybala è diverso, anche se altrettanto impegnativo, dal momento che ballavano i 75 milioni di euro degli arabi (per tre anni). I quali arabi ci sono rimasti di sasso. Non sono abituati a essere trattati così. Si era ai dettagli.
Improvvisamente, la marcia indietro. E la Roma romanista sotto casa dell’argentino, a invocarlo e proporlo, nella scia di Francesco Totti, «dieci ad honorem». Il piccolo Sivori (o Sivori piccolo, a seconda dei tabellini) va per i 31 (li compirà il 15 novembre) e ha un fisico non proprio di ferro. Ma il piede sinistro è come il dentifricio del Carosello di Virna Lisi: «Con quel sorriso può dire ciò che vuole». Dire o fare. Dire e fare.
Immagino lo sbigottimento di Daniele De Rossi. Paulo aveva già svuotato l’armadietto, abbracciato i compagni, salutato i tifosi. Al netto dell’enfasi populista, non escludo che la società si sia sentita offesa dal grottesco ribasso degli acquirenti: da 15 a 3 milioni con otto vaganti di commissioni premesse e promesse ai procuratori-squali.
Insomma: non più Matias Soulé al posto di Dybala; ma Soulé «e» Dybala. Ex juventini. Mancini entrambi, come Tommaso Baldanzi, reclutato a gennaio dall’Empoli.
I ricorrenti processi ai muscoli per abuso di pit stop sono precipitati alla periferia dei dibattiti. Conta e vale il contesto. La moglie; la mamma (a spanne, non della stessa pasta della genitrice di Adrien Rabiot); la Camelot di un tipico atipico che, da Lugana Larga, ha frequentato il caos zampariniano di Palermo, la palestra sabauda della Juventus (palestra non solo metaforica) e la movida caciarona della Capitale, metà Circo massimo e metà massimo del Circo.
Ci si è buttati in archivio per portare alla luce casi analoghi e, magari, più illustri. Fatte le debite proporzioni, dagli scaffali spunta il no guerriero di Gigi Riva alla Juventus e all’Inter, dopo l’okay del Cagliari. Altro che Bartleby. S’impuntò. E «fuggì» imprigionandosi all’isola. Che a quel «tesoro» fu e resterà, nei secoli, fedele e devota.
Un altro ribelle risultò Gianluca Vialli, all’epoca della scapigliatura doriana. Il Milan del Berlusca lo voleva a ogni costo. Grazie, ma «preferisco di no». Genova per lui: spalancava le finestre, Gianluca, e ammirava il suo mare, il suo scoglio. Non la nebbia miliardaria (allora) che lo avrebbe scortato a Milanello. Per tacere di Totò Di Natale: nell’estate del 2010 privilegiò lo sgabello di Udine alla cattedra della Juventus post-calciopolesca. E diventò il Leo Messi del Friuli.
I soldi non sono tutto, slogan che piace alla gente che piace. E quando «certi» sensali la prendono nel sedere, chi firma fa sempre la ola. Poi, è chiaro, può capitare che la gioia dell’Empoli schiacci la Joya di una notte, ma questa è la vita.