Gli 80 di Boninsegna, italiano e centravanti «vero»: dall’oratorio a Pelé

Compie 80 anni Roberto Boninsenga. Vicecampione del Mondo con la Nazionale nel 1970 e cresciuto quando in parrocchia, oltre che a curare le anime, si dava anche una sbirciatina ai piedi.

boninsegna
Articolo di Roberto Beccantini13/11/2023

Ragazze e ragazzi di Instagram e X Factor, tutti sull’attenti: oggi, lunedì 13 novembre 2023, Roberto Boninsegna compie 80 anni. Mantovano, «Bobo» per gli amici di allora e di ora, figlio di papà Bruno, comunista, che «aveva lavorato da saldatore alle cartiere Burgo, e lì forse c’aveva lasciato anche la salute: è morto a 61 anni per via delle esalazioni del gas e delle polveri della cartiera», come ha raccontato a Massimiliano Castellani di «Avvenire».
Centravanti. Classico, acrobatico: di «quelli che una volta», tanto per evadere in fretta dalle sabbie mobili dei paragoni.

Nasce, beato lui, quando gli oratori curavano le anime ma davano una sbirciatina pure ai piedi. La parrocchia di Sant’Egidio e la saga degli «Invincibili». Un vaga-mondo: Prato, Potenza, Varese, Cagliari, Inter, Juventus, Verona, Viadanese. Bocciato dal mago Helenio, via da Cagliari proprio nel mercato che avrebbe propiziato lo storico titolo del 1970, tanta Inter (lattina di Moenchengladbach compresa), e la chicca di una «fuitina» a Torino, nello scambio che spinse Pietruzzo Anastasi in nerazzurro. Ivanoe Fraizzoli stappò lo champagne, Giampiero Boniperti vi brindò.

Gianni Brera coniò in suo onore «Bonimba» e, in alternativa, «Bagonghi», appellativo recuperato dall’agile nano del circo Togni. «Ma ero più alto io, di Brera». Uno scudetto all’Inter, due scudetti, una Coppa Uefa e una Coppa Italia alla Juventus (dal 1976 al 1979). E Gigi Riva, naturalmente. Nell’isola e in Nazionale. Insieme, vice campioni del Mondo in Messico nel 1970. Fu Roberto ad aprire le marcature del fatidico 4-3 alla Germania Ovest e a chiuderle servendo l’assist al piatto destro di Gianni Rivera. Fu sempre lui, Bonimba, a pareggiare il gol verticale di Pelé nella finale con il Brasile prima del crollo («quanto pagherei per rigiocarla»). E dal momento che di staffette si scrisse e si romanzò, i famigerati sei minuti di Rivera cominciarono dall’uscita di Boninsegna, non di Sandro Mazzola.

In totale, 163 gol. Ma ne rivendica 168. E uno di mano, boia d’un mondo ladro. Sensi di colpa? Manco mezzo: ai suoi tempi i difensori menavano come fabbri, il Var non c’era e ogni tiro che sfiorava lo stinco o il polpaccio di un avversario declassava la rete ad autorete, una specie di «rapina» legalizzata. Oggi è il contrario, oggi un tiro destinato in curva ma deviato in porta è sempre gol e mai autogol. Patti chiari: lo volle Joseph Blatter quando comandava la Fifa per evitare che gli scommettitori si impuntassero, se non addirittura si sparassero o sparassero, per dirimere la paternità di un «tor» (alla tedesca).

Non ha mai porto l’altra guancia, Bobo. Lo documentano le 11 giornate di squalifica che si beccò per aver insultato un arbitro e che gli costarono la malìa dell’Europeo 1968. Al suo posto, Ferruccio Valcareggi precettò Anastasi. E al posto di Anastasi, due anni dopo, alla vigilia della spedizione messicana, il ct reclutò Boninsegna. Sliding doors, il destino che ci controlla e ci mescola. Aveva il naso schiacciato, sembrava un pugile prestato al football, un centravanti che se la sarebbe cavata alla grande persino sul ring. Viveva di adrenalina, di lecche che erano schioppettate, di gomiti ficcati nel costato degli stopper (se Francesco Morini, meglio), di avvitamenti. Impossibile dimenticare la rovesciata al Foggia: per i tifosi interisti, una scena cult. Il bello e la «bestia».

Nostalgia canaglia. Bonin-Bagonghi teneva l’officina in area. Se ne fotteva delle rime baciate, chiuse in D, con la Viadanese, nel 1981. Si è risparmiato l’avvento del Sacchismo e dei suoi trombettieri ad «appagamento». Non ebbe fortuna come allenatore. Capita spesso, a chi i problemi non li crea ma li risolve.

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