Il Napoli è alla frutta prima di cominciare il pranzo
La prima di Conte è una catastrofe, mancano uomini, spirito e idee. Il Napoli "addà faticà" ma non è detto che basti.

“Vedo nero, coi miei occhi. Vedo nero e non c’è pace per me” canta Conte, sulle note di Zucchero, amareggiato in volto e nello spirito da guerriero indomito domato.
Lo aveva pre-annunciato nella conferenza pre-partita: “me la vedo nera” e la piazza a scongiurare “l’alzabandiera”, bianca.
Sinceramente, credevamo fosse un classico e preventivo mettere le mani avanti, per “tuzzuliare” società, giocatori e tifosi su (in ordine) mercato in entrata, umiltà e low profile. Era una visione da visore VR, da palla di vetro, quasi divinatoria, di chi mastica calcio da quando era in fasce e certe cose le capisce prima che si realizzino.
Come ci fosse un continuum spazio-temporale la prima del Napoli a Verona e maledettamente simile alle ultime uscite ufficiali, che speravamo il vento d’estate avesse portato via. Dalla disperazione alla disperazione, dalla vergogna alla vergogna. Les jeux sont faits.
Non siamo catastrofici, non lo era e non lo è Conte. Catastrofico è il 3-0 rimediato a Verona, un Verona che settimana scorsa tre reti le aveva incassate dal Cesena in Coppa Italia uscendo al primo turno della competizione. Un Verona messo su, ancora una volta, da Sogliano con una manciata di fave e una schiera di reietti e underdog.
Al Bentegodi gli azzurri ci sono arrivati incompleti per responsabilità oggettive. Fuori Buongiorno (per infortunio), l’unico colpo di mercato degno di nota. Fuori Marin (per scelta tecnica) (che sia il nuovo Natan?). Senza alternative a centrocampo, senza un uomo di fascia in più e soprattutto senza un centravanti di spessore.
Il Napoli è alla frutta prima di cominciare il pranzo. E c’è di peggio, perché come evidenziato dallo stesso tecnico salentino, poco dopo la disfatta, la sensazione è che non basteranno “uomini nuovi”, se in quelli “vecchi” non c’è vita. Non sono bastati due mesi di cura Conte per sanare i traumi dell’annata nefasta post scudetto.
La cosiddetta mano dell’allenatore non ha attecchito. Non c’è fame, non ci sono idee, non c’è predisposizione al gioco né alla sofferenza. Non c’è calcio. La fase difensiva è in fase embrionale, piena zeppa di bug, le linee si fanno attrarre dal pallone, finendo per esserne risucchiate. Si vuole difendere in campo piccolo, venendo scoperti e attaccati (umiliati) in campo aperto. La fascia sinistra non funziona. Davanti, invece, non ci si spinge oltre il compitino, non si concretizza, non si rischia la giocata direbbe Bernardeschi.
Insomma, la coperta è corta, ma il letto sulla quale stenderla non prospetta sonni tranquilli.
A fine primo tempo, gli azzurri hanno perso anche Kvara, per defezione, al suo posto un impalpabile Raspadori. La panchina, oltre Giacomo Jack, recitava Rafa Marin, Cheddira, Ngonge, Saco, Mazzoni e Iaccarino, senza contare i portieri (Caprile e Contini). Avrà pensato a come friggere il pesce con l’acqua il povero Antonio.
Certo, di fronte non c’era mica una big, semplicemente un Verona smantellato e “rimantellato” come al solito e come si può. Il primo tempo ha regalato poche emozioni. Il Napoli ci ha provato, senza riuscirci e senza troppa cattiveria. Le occasioni più nitide sono state di Lobotka, Anguissa e il 77, su errori grossolani dei padroni di casa.
La ripresa ha visto gli azzurri uscire di scena e la squadra di Zanetti prendere confidenza, da un dito a tutto il braccio. Tre ripartenze, tre reti: Livramento prima, doppio Mosquera poi. Solo una traversa di Anguissa a referto per gli ex Campioni d’Italia.
“S’adda fatica”, sperando che Conte non si accorga che non basta.