Uomini forti, destini forti

Il Napoli di Conte è una grande squadra perché anticamente vince e convince, nel senso classico del termine ed è ciò che ci spinge a credere in lei

napoli-comoFOTO MOSCA
Articolo di carloiacono05/10/2024

Il calcio – come tutte le passioni – ci induce spesso ad affrettare i giudizi. Un tempo, si diceva bastasse una vittoria per far scordare tutto ai tifosi, una sconfitta invece per immaginare futuri nefasti. Nella società “a”estetica odierna – influenzata dall’apparenza e dalla forme – al risultato si è legata a doppio filo la prestazione, intesa come esercizio del bello. 

Vincere senza praticare un calcio godibile non restituisce le stesse sensazioni di farlo “divertendo”, così come perdere giocando “bene” non è una vergogna. Si è arrivati quasi al paradosso: “No ai tre punti, sì al possesso”. Fortunatamente c’è chi dice “no” e ci permette ancora di fare stime scevri da ogni turbamento. 

Senza paura di correre, il Napoli di Conte è una grande squadra e lo è né perché piace, né perché, tantomeno, vuole piacere. Il Napoli di Conte è una grande squadra perché anticamente vince e convince, nel senso classico del termine ed è ciò che ci spinge a credere in lei. Gli azzurri sono una squadra solidissima, mentalizzata e, sopratutto, affamata. Le più grandi vittorie hanno un unico comune denominatore ed è la fame, la volontà di compiere grandi imprese.

Ieri al Maradona, il secondo tempo ne è stato manifesto. Primi 45’ minuti sottotono influenzati dalla rete precoce di quel pazzesco tuttocampista che è McTominay. Pronti via, 26 secondi e il primo palleggio, complice un movimento magistrale di Lukaku (autore dell’assist), si trasforma in rete. Inserimento dello scozzese e Audero battuto. 

Gli uomini di Conte fisiologicamente si abbassano. Salta la strategia di aggressione iniziale, non è funzionale. Il Como di quel piccolo genio di Fabregas non è squadra che si lascia pregare, prende il dominio territoriale (forse un po’ troppo) e lo tiene alla grande, sciorina un gran calcio ambizioso. Va al tiro dalla distanza più volte, prima centra il palo con il talento madrileno Paz e poi imbuca con Strefezza che sorprende un non impeccabile Caprile. Gli azzurri giocano di rimessa ma sono poco lucidi. 

Si va negli spogliatoi e quando si ritorna sul prato verde, il Napoli decide di ammazzare la partita, un po’ come fatto col Monza. Va bene soffrire, anzi è da apprezzare. Negli ultimi dieci anni non ricordiamo degli azzurri capaci di accettare le difficoltà, di comprendere i momenti in cui è doveroso farlo, ci sono più match in un match. Poi, però, arriva il tempo di piegare il destino al proprio volere, o, almeno, capita a chi è in grado. 

Gli azzurri lo sono già, e non era scontato. Conte ha eretto da pezzi di lamiera ereditate un panzer. Quando lo incontri ti rade al suolo. Battere questo Napoli sarà difficile per tutti. I secondi quarantacinque minuti ne sono una dimostrazione. Il palleggio resta tra i piedi dei lombardi, ma è solo un un numero utile alle statistiche, ovvero ciò che dovrebbe essere in origine. Il pallino è azzurro. Le transizioni diventano più aggressive e pericolose. 

Da una di esse nasce il rigore guadagnato e trasformato da Lukaku, e propiziato da un recupero di Olivera nella trequarti comasca, su scellerata costruzione dal basso degli ospiti. Ancora lui, il belga – etichettato solo settimana scorsa come giocatore finito – dopo pochi minuti serve un pallone magistrale al neo-entrato Neres. Assist alla Higuain, controllo e centro del brasiliano, come mandare giù un bicchier d’acqua. La partita è segnata lì, come il tabellino che insegue solo le lancette per cristallizzarsi in un 3 a 1 secco, che non si presta ad interpretazioni. 

Buon Como, che dirà la sua, come poche neo-promosse possono. Napoli prepotente. Il calendario dice prossime due abbordabili poi fossa dei leoni, con quattro big match di fila. Parlare di “sarà volta scudetto” è prematuro, ma ad essere maturi sono gli azzurri, forse unica certezza del campionato in corso. 

Come ipse dixit: uomini deboli, destini deboli, uomini forti, destini forti. Ça va sans dire.

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