Dallo «Sciuscià» a Dodino, alla «squadra» di Mimmo: quanta gioia nella Little Napoli di Milano
I protagonisti di oggi sono i napoletani di Milano, risaliti dal Vesuvio fino ai Navigli, da «Terrun» a «Campiun». La festa è anche qui.

Qui Napoli, a te Milano. O meglio: qui Napoli, tiè Milano. Perché sì, i protagonisti di oggi sono i napoletani di Milano. Quelli che conosco, quelli che frequento. Gratificati – un giorno non tanto all’improvviso – dello scudetto. Felici come scugnizzi in barba all’età e alle barbe. C’è un bar-pasticceria in via Procaccini che si chiama «Sciuscià». Già dal nome, si afferra lo spirito. Ci vado spesso con Fabio Monti, amico e compagno di infinite scorribande giornalistiche per il vasto mondo. Il patron, Giuseppe Ciccarelli, lo aprì nel 2010. Sull’altro lato della strada spiccano gli ultimi «nati», fra carne e pesce: un polo alimentare (rigorosamente) napoletano.
Il boss si vede poco. Dirige, come Luciano Spalletti, dalla panchina delle retrovie. Al banco c’è Tommy, napoletanissimo, e c’è Andrea, romena. Se lei è mora, Monica, la moglie del capo, è bionda. A proposito di par (e color) condicio. Giuseppe e Monica hanno due figlie, Martina di 10 anni e Zoe di 8. «Sono di Napoli-Napoli – racconta, orgoglioso – Venni al mondo nel dicembre del 1976, appena in tempo per godermi i primi due scudetti. Gli scudetti di Diego».

Inutile specificare «quale» Diego: basta la parola. «Andavo al San Paolo con papà, era uno spettacolo. Lo stadio, la squadra e Maradona. Impossibile non innamorarsi». Mai un tradimento, giura, mai un attimo di smarrimento o sbandamento nell’assistere alle razzie nordiste della Juventus o delle milanesi. Al contrario: se l’appetito vien mangiando, il digiuno aiuta a valutare e cementare gli affetti. Se sono primavere o solo rondini che le indicano. Sono, e resteranno nei secoli, primavere.

In piazza Diocleziano, accanto all’edicola di Fabio e Sergio, c’è un negozio di fiori che proprio negozio non è, visto che il tetto è il cielo e le pareti scaffali di rose, di garofani, di mimose (quando è l’ora). Lei è Isa -bellissima. Lui, Daniele. Il fratello. La mamma è Grazia; il papà, Corrado, cantante di vocazione risalì dal Vesuvio ai Navigli per dar voce a un sentimento e a un’avventura. Daniele è milanese. Ha 33 anni, tanti quanti ne sono trascorsi dal secondo al terzo hurrà. La sua dolce compagna, Martina, ha dato alla luce Edoardo, sei mesi il prossimo 14 maggio. Daniele è detto «Dodi», perché, gattonando, storpiava allegramente il suo nome. Ed Edoardo, a maggior ragione, «Dodino». C’è una foto che lo ritrae, in braccio al papà, con il ciuccio d’ordinanza e gli occhioni spalancati a mo’ di fari, fasciato da una maglietta su cui spicca una N azzurra che rimanda, beato il pupo, a un titolo arrivato con un «timing» che ai partenopei, così superstiziosi e sospettosi, non sarà certo dispiaciuto. «That’s amore», gorgheggiava Dean Martin.

Ho proposto a Dodi di suggerire al padre una piccola variazione nell’ultima strofa di «O mia bela Madunina», inno della milanesità. Al testo originale di Giovanni D’Anzi, che fa «Canten tuch luntan de Napuli se moeur, ma poi vegnen chi a Milan», ugole curvaiole avevano aggiunto un malizioso «Terrun». Patti chiari: diventi, per meriti acquisiti e a furor di popolo, «Campiun».
Mimmo Cuomo aveva un ristorante in Largo Domodossola, proprio ai piedi di «CityLife». Che insegna poteva dargli se non «La piccola Napoli»? Al cuore non si comanda. La regia di Mimmo, il pressing della moglie Stefania fra pizze e spaghetti al sugo, le incursioni di Erika e Luca, due dei tre figli (il terzo, Alessandro, ha scelto il ramo finanziario): una squadra nel senso laborioso, e spallettiano, del termine. Mimmo tifa per il Napoli e un po’ per l’Inter. Lo scudetto lo ha riportato indietro nel tempo, a quando, ragazzo, sognava a occhi chiusi.
Uomini e donne di molta fede.