Elogio di Rolando Mandragora (non quello della Serie A, uno ancora più forte)
La storia di uno dei calciatori più forti di Scampia. Giocoliere e assassino. Semplicemente l'esterno più forte che io abbia mai visto. Ecco a voi la storia di Rolando Mandragora.
Credit photo by Nunzio MariglianoPrimi anni duemila. Il secolo è appena iniziato. Non ci sono i social e nelle case chi ha internet viaggia ancora a 56k. I ragazzini preferiscono giocare nel rione. Sono gli anni delle scarpette Total 90. Delle pubblicità del Brasile che fa magie in aeroporto. Il mondo si divide ancora in quelli che leggono il Corriere dello Sport e quelli che leggono La Gazzetta dello Sport. Ogni tanti ci si riunisce a guardare le partite in tv a casa di un amico ricco che ha Stream o Tele+. Il Napoli sfodera una delle sue più belle magliette della sua storia, in petto un gigantesco Peroni. Stiamo per tornare in serie B e nessuno lo sa. Sulla fascia c’è Saber, il Cafù d’Africa. In attacco un certo Edmundo. Scampia non la conosce ancora nessuno. Non è scoppiata la guerra. Scampia è solo il ritrovo di tossici che arrivano con l’R5 da Piazza Garibaldi. Io ho in testa una marea di capelli, voglio diventare calciatore e provo a prendere la terza media.
Il mio idolo si chiama Rolando Mandragora. Non quello della seria A, uno ancora più forte. Non mi perdo nemmeno una sua gara. Cazzo quanto è forte. Giocatore di fascia. Dribbling assurdi. Magie ogni due minuti. Ecco, Rolando Mandragora è quel calciatore che oggi in serie A non vediamo più. Quello che ti fa trattenere il fiato, quello che ti fa dire wow, “Ma che ha combinato”. Quello che ogni santa volta che prende la palla stai li a chiederti: “e cosa farà adesso?”. Rolando Mandragora è stato senza ombra di dubbio uno dei calciatori più forti di Scampia. Ancora ho in mente i suoi tiri sforbiciando con le gambe a mezz’aria. Ho ancora in mente le sue galoppate, i suoi passaggi precisi. Mi sedevo sul muretto di tufo e cemento e guardavo. Provavo ad imitare con la mente. Ma certe cose, o le tieni o non le tieni. E io quel guizzo, quella velocità mentale non l’ho mai avuta. Allora mi godevo il Denilson di Scampia, l’uomo capace di portarsi appresso mezza difesa. Non ho mai visto giocare Rolando a 11, ho sempre goduto delle sue prodezze in spazi ristretti. Potevo sentirlo mentre imprecava. Potevo sentire il rumore delle sue scarpette coi tacchetti bassi ringhiare sulle mattonelle di cemento.
Ho avuto questo privilegio, voi no. Io vi sto parlando di un calciatore completo. Un lusso per un torneo del rione. Era uno che amavi o che odiavi perchè era troppo più forte di te. Cresciuto a pane e pallone, con suo papà Bruno tra i più grandi tecnici dell’intera Campania. Giugliano, Turris, Campobasso. Grandi piazze. Rolando è cresciuto col pallone tra i piedi, con una tuta scura stretta, che scendeva oltre le ginocchia. Coi capelli sempre corti. Veder palleggiare Rolando Mandragora prima dell’inizio di una gara, era per noi muccusielli, piscitielli di cannuccia, un orgasmo sportivo. Perché in fin dei conti esistono esseri umani capaci di far l’amore col pallone e Rolando è uno di questi. In tutta la mia vita non ho mai più rivisto un calciatore usare la suola come Rolando Mandragora.
E ogni tanto, quando mi prende la nostalgia, quando sento “Fotomodelle un po’ povere” di Gigi D’Alessio, mi chiedo: ma perchè Rolando Mandragora non è diventato un calciatore? Quel demone del pallone ha impedito a questo ragazzo di raggiungere fama e gloria? Non lo so e in fondo non lo voglio sapere. Forse è nato vent’anni troppo presto. Oggi come minimo giocherebbe in qualsiasi squadra di serie A di calcio a 5. E voi dovreste maledire quei demoni, che non vi hanno permesso di godere di uno spettacolare esterno, giocoliere e assassino. E che vi siete persi.
Ogni tanto, nelle lunghe passeggiate che mi concedo col mio cane nel rione, lo vedo con suo figlio, in un campetto senza pubblico. Ancora con la sua maglia senza maniche. Lo vedo insegnare a quel bambino l’ABC del pallone. E mi verrebbe voglia di dire: “Guagliò tu non lo sai ancora chi era tuo padre per me”. C’è chi si emoziona davanti a un film, chi leggendo un libro e chi, come me, si emoziona guardando Rolando Mandragora palleggiare.
