Dies Irae, la ira de D10S

Dies Irae e il gol del secolo, la mano di Dio. Pittura e lo Stadio Azteca. Maradona, Mozart, Michelangelo. Ivano La Montagna torna con la sua rubrica "Il museo del gol". I gol che hanno cambiato il mondo raccontati attraverso l'arte.

Credit photo by Alberto Sharif Ali SoleimanCredit photo by Alberto Sharif Ali Soleiman
Articolo di Ivano La Montagna13/09/2025

Italia. Quattro mesi dopo la finale dei Mondiali. 

L’Unità. 30 ottobre 1990. 

Gabriella Mecucci intervista Giulio Carlo Argan. È appena uscito il suo “Michelangelo, la salvezza”. 

“[…] nella prima metà del cinquecento, il problema più importante non era creare una scienza ma vincere un conflitto religioso. […]

Michelangelo capì che questo era il problema […] Per lui l’arte non era conoscenza come per Leonardo, ma era esistenza e quindi azione. Basta guardare il Giudizio Universale per cogliere lo stretto legame che Michelangelo stabilisce fra la teoria, il momento politico e l’agire. L’affresco della Sistina è minaccioso, minaccioso è l’irrompere di Dio. Quella mano si alza contro le gerarchie ecclesiastiche che allora si riunivano dentro la cappella. Il messaggio indirizzato a loro e coglie benissimo il problema principale dell’epoca: difendere la chiesa di Roma dall’eresia protestante”. 

Il genio fiorentino traduce -si fa per dire- in immagini il testo latino attribuito a Tommaso da Celano.

Dies irae, dies illa, (Giorno d’ira, quel giorno)

Solvet saeculum in favilla (Distruggerà il mondo in faville)

Teste David cum Sibylla. (Com’è attestato da Davide e dalla Sibilla)

Quantus tremor est futurus, (Quanto grande sarà il terrore)

Quando Judex est venturus, (Quando il giudice arriverà)

Cunta stricte discussurus! (Per giudicare tutto con severità)

 

Per la musica, a partire dal Canto Gregoriano, la scelta è ampia e variegata. Ad ognuno la sua. Io non ho dubbi, vince sempre Mozart (anche se Verdi si difende benissimo).

Dies Irae _ Nel giorno dell’ira il volto di Cristo è minaccioso ma non furibondo. Non c’è vendetta ma giustizia nello sguardo verso ciò che resta di quel progetto che -secondo i piani- sarebbe dovuto essere “a sua immagine e somiglianza”. L’intero corpo di Gesù, nudo, vigoroso e giovane esprime Onnipotenza; l’energia infinita ancora non sprigionata si propaga nelle membra in torsione risalendo dal piede sinistro alla mano destra aperta. 

È chiaro. Ce ne sarà per tutti, come se non ci fosse un domani.

Dies Illa _ Nel giorno della partita Inghilterra-Argentina il volto di Diego è serio, concentrato, severo. Non rabbioso come quattro anni dopo a Roma, quando i vigliacchi italici “hijos de puta” insultano la sua camiseta, la sua bandiera, la sua chiesa, la sua casa. No! Il 22 giugno del 1986, Maradona, insieme artista e protagonista della sua opera, è completamente presente a se stesso, immerso nella gravità del momento. Solo a lui è dato giudicare, in maniera plateale, inesorabile, implacabile. Quel giorno, proprio come il gigante Buonarroti, il piccolo In-Dios dimostrerà cosa vuol dire “stretto legame” tra sapienza calcistica, momento politico e agire.

C’è da recapitare un messaggio al suo popolo, i poveri del mondo: agli imperialisti, arroganti e violenti, bisogna resistere con tutte le forze. Dovranno subire una indimenticabile punizione.

Quantus tremor est futurus _ Le Trombe assordanti degli angeli, le schiere, i santi e i profeti spettatori attoniti di uno spettacolo tremendo, l’ultimo. Urla, gemiti e stridore di denti. La Madonna, quasi spaventata alle spalle del Salvatore, soffre per tutti.

Pumpido, Cuciuffo, Brown, Ruggeri, Giusti, Batista, Enrique, Olarticoechea, Burruchaga, Valdano, le trombe dell’America Latina, del barrio di villa Florito, della Bombonera e del Rione Sanità. Dalma Salvadora Franco, MaDonna Tota, a soffrire da qualche parte per il suo niño: il maschietto promesso dalla stella d’argento nell’ospedale Evita Peron.

Sempre ellittica, la forma che inviluppa trama, protagonisti e comparse: un anfiteatro, uno stadio.

Blu bruno il cielo in cui si dispongono le nuvole, dense, dure come lastre di ghiaccio sporco, grigia e affollata platea, freddo e invisibile trono per il RE.

Nell’alto dei cieli, a 2256 metri sul livello del mare, tre anelli sovrapposti di cemento armato per centoquattordicimilacinquecentottanta spettatori. Al centro dell’Estadio Azteca di città del Mexico si erge, terribile, la figura monumentale del Pibe de oro. Blu bruno è il colore della sua maglietta.

Quando Judex est venturus _ È Apocalisse, apó (ἀπό) kalýptō (καλύπτω), la caduta dei veli, lo svelamento. Nuda la verità, necessariamente nudi, in somiglianza mistica, i corpi dell’Uomo e del Figlio dell’Uomo. Arroganza tridentina le mutande di Daniele da Volterra. La carne dei popoli della Terra è degna di resurrezione. 

Nell’ora della rivelazione suprema la mano sinistra di Cristo assolve, la destra condanna alla definitiva umiliazione.

Cunta stricte discussurus! _ È anti-Apocalisse. 

“Ha segnato con la mano. Ha vendicato il grande popolo argentino, vessato dall’ignobile aggressione imperialista alle Malvinas. È un genio, è un genio!  È un atto politico. È la rivoluzione. Li ha umiliati, capisci? Li ha umiliati!” 

Così lo Zio Alfredo Argan di Paolo Sorrentino ci racconta il suo “Giudizio Universale”.

Al sesto minuto del secondo tempo, le squadre ancora sullo 0-0, un pallone a campanile scende nei pressi dell’area piccola. Il portiere dell’Inghilterra, Peter Shilton, ben venti centimetri più alto di Diego, pensa sia gioco facile agguantare la sfera. Ma non ha fatto i conti con le doti fisiche e le facoltà soprannaturali del suo avversario. El Diez balza in volo come il puma che per tutta la vita porterà indosso. Le mani entrambe chiuse a pugno, le braccia lungo il corpo nella fase di slancio.

Poi il miracolo. La sinistra, la più fedele alla poesia del suo corpo, scatta rapida verso l’alto, senza rivelarsi a nessuno, andando a nascondersi nel profondo nero della capigliatura più nota del pianeta. Non è più quella foltissima e disordinata del piccolo Eletto ma è pur sempre del Pelusa che qui stiamo parlando. Il pugno spunta dalle ciocche più veloce della lingua di un camaleonte. Colpisce e si ritrae.

Nemmeno l’estremo difensore riesce a vederlo. Non capisce. Atterra e si gira stordito. Solo allora rivede la pelota rotolare in rete.

L’arbitro tunisino Bin Nasser non può far altro che testimoniare l’evento decretando la regolarità del gol. Tra gli apostoli, i primi ad avvicinarsi al maestro sono Cecho e Valdano. Sono scaltri e più scettici di Tommaso. Ricevono entrambi, sibilata in un finto sorriso, la stessa risposta, lo stesso rimprovero: “Zitto e abbracciami”. Solo più tardi verrà loro concessa la rivelazione.

Teste David cum Sibylla _ La punizione diventa capovolgimento della verità. Il D10 del calcio impone all’empio protestante britannico il giudizio definitivo attraverso la menzogna divina. 

Si compie la suprema sovversione di ogni ordine costituito, come in cielo così in terra: “Un poco con la cabeza de Maradona y otro poco con la mano de Dios”. 

Hasta siempre, mi Diego.