Elogio del Super Santos (e di Vittorio ’O Pazzo, che lo scaraventò in cielo)
Super Santos ovvero il pallone del popolo, il pallone dell'estate, il pallone degli effetti impossibili. Il pallone arancione che Vittorio 'O Pazzo lanciò dove volano le aquile.

1994. Il giorno prima della finale dei mondiali. Lotto W. Il rione è in fermento. Siamo tutti Roberto Baggio qualche ora prima del disastro. Gli stereo a cassette sputano dalla finestre la voce di Franco Ricciardi che canta “Mia cugina”. Ragazze in pigiama col mollettone nei capelli e gli zoccoli di legno cantano a squarciagola. Patrizio vende nel rione le sigarette col suo “bancariello” pieno di Camel rigorosamente di contrabbando, la Salumeria Sant’Antonio spaccia marenne per i parenti dei carcerati, la pharmasanitaria lacci emostatici per i tossici e la signora Rosetta, la santa signora Rosetta, vende palloni Super Santos a tremila e cinquecento lire. 23 centimetri di diametro, sfera di colore arancione con strisce nere in PVC.
Siamo un gruppo di “muccusi” di 7 o 8 anni. Facciamo 500 lire a testa e compriamo il pallone in comitiva. Non è di nessuno. Ogni giorno se lo porta uno di noi a casa. Ci fermiamo da Don Vincenzo ’a Bancarella, con 100 lire a testa ci compriamo una goleador, che apriamo coi denti e inghiottiamo quasi senza masticare. Antonio “Recoba”, che di Recoba aveva solo i denti, si siede sul pallone. Disastro. Uno, due e tre e il pallone diventa “a cocozza”. Inizia la partita e quel pallone a cocozza, a forma di zucca, ad ogni tiro prende un effetto strano. Tiri imparabili per i portieri, tiri che trasformano ogni atleta in un personaggio di Holly&Benji. Nel campetto dietro alla scala P (che abbiamo creato disegnando a terra con la pittura linee bianche su mattonelle rosa, senza nessuna proporzione) non ci sono le porte. Sono fantasma. Ad ogni tiro c’è un processo. La porta cambia dimensioni in base all’altezza del portiere. Qualcuno grida: “Palo, è palo”. Ma i pali non ci sono. Non ci sono nemmeno le reti di protezione e ad ogni tiro bisogna recuperare il pallone in mezzo alla merda dei cani e ad anni di erba non tagliata dal Comune. Forasacchi si incastrano nei calzini di spugna bianca e nelle scarpe Bullion. Mentre giochiamo coi “portieri volanti” un altro gruppo di ragazzi spara con uno “sparafasuli” ai tossici che si bucano. Mazzola è tutto fatto e fa il verso della gallina. Siringhe sporche di sangue sono incastrate nel tufo dei muretti dove ci sediamo. Abbiamo tutti il terrore dell’AIDS. Ma chi se ne fotte, tanto domani l’Italia vince il mondiale. Lem e Suzuki Magic sfrecciano. Scassano il cazzo, con quel rumore inutile e la puzza devastante. La partita continua, il pallone inesorabilmente si sgonfia e diventa difficile da controllare. Qualcuno facendo un “giochetto” cade per terra, si sfregia le ginocchia. Non ci sono salviettine imbevute, non c’è disinfettante. Basta soffiarci sopra e il dolore svanisce. Siamo solo un gruppo di scugnizzi che sogna la coppa del mondo, siamo solo un gruppo di scugnizzi che sogna un pallone di cuoio, ma si accontenta della cucozza. Il Super Santos è il pallone del popolo, il pallone dell’estate, della spiaggia, dei poveri cristi, il pallone dentro la rete, il pallone che non puoi gonfiare più.
Al nono piano della scala P, c’è Vittorio ’O Pazzo. Bello, bellissimo. Con un paio di occhi azzurrissimi. Abbiamo tutti paura di Vittorio, che cammina a testa bassa parlando coi suoi fantasmi. Abbiamo tutti paura di ritrovarci in ascensore con Vittorio. Si dice che Vittorio sia andato a Londra e sia tornato col cervello fuso. Forse una pasticca, o chissà cosa. Ma al ritorno Vittorio non è più lo stesso. Se ne sta solo, in casa, a fumare, fumare, fumare, fumare. Lo vediamo sbucare all’improvviso. Stop. Freeze. Tutti fermi. Tutti cagati sotto. Vuol giocare con noi. Inizia a palleggiare. Palleggia alla grande e anche lui si lamente del pallone a cocozza, mentre accarezza il PVC arancione con i suoi anfibi nonostante fuori ci siano 35 gradi. Chissà cosa pensa mentre palleggia e parlotta. Nomi di donne sbucano dalla sua bocca. Forse amori non corrisposti, amori mai nati. Invitiamo Vittorio a lanciare il pallone in cielo. Ha un tiro bestiale, un tiro fortissimo. Per noi, “muccusielli” veder salire quel pallone in aria, restare a bocca aperta, scommettere fin dove arriverà il pallone, quale piano raggiungerà, per noi tutto questo è magia. Vittorio, il terrore dei criaturi del rione, prende il pallone e calcia, calcia fortissimo e la cocozza sale in aria, al quinto, sesto, settimo, ottavo, nono piano. E diventa un puntino piccolissimo. Il tempo si ferma, come prima del rigore di Baggio che ancora non sappiamo che sbaglierà. Abbiamo tutti gli occhi al cielo. Vittorio grida: Eva. E mo chi cazzo è Eva. La palla scende, scappiamo tutti. Temiamo ci cada in testa. Vittorio no, Vittorio resta. La cocozza scende e assume traiettorie impossibili andando a conficcarsi nel fogliame di un pino di vent’anni circa. Vittorio se ne va. “E’ stata Eva”. Noi torniamo nel nostro campo storto e con le pietre cerchiamo di prendere un pallone incastrato tra i rami. Una musica neomelodica annuncia l’arrivo del tre ruote che vende le spighe. Abbandoniamo il nostro Super Santos, il nostro unico Super Eroe, che ha regalato ad ognuno di noi, almeno un gol dall’effetto impossibile.
Mi piace pensare che il Super Santos è ancora lì, tra i rami. Incastrato dove noi comuni mortali non potremo mai arrivare. Vittorio invece, non c’è più. L’hanno trovato morto in casa. Una casa piena di sigarette. Morto giovane, giovanissimo. Il terrore dei bambini è sparito, così come la sua memoria. E con queste poche righe vorrei chiedere scusa ad un ragazzo che abbiamo giudicato troppo presto, che avremmo dovuto ascoltare. Vorrei chiedere scusa ad un ragazzo che ci regalò il tiro più bello del mondo un giorno prima del disastro mondiale.