Kandinsky e il Tiki-taka: astrattismo lirico e triangolazioni.
Cosa hanno in comune Kandinsky, il Tiki-taka e i triangoli? Lo spiega Ivano La Montagna nel suo nuovo articolo per la rubrica "Museo del Gol - arte e pallone".

Sulle mura della mia basilica interiore si aprono grandi finestre. Sono lì, precise nella forma e nel ritmo, per assicurare costante e naturale movimento tra fuori e dentro. Pensieroso e triste per gli eventi in Palestina, mi aggiro nello spazio affollato in cerca di riferimenti e suggestioni. Da uno di quei luminosi varchi – floating like a feather – arriva uno smarrito foglio di taccuino. Le parole lette risvegliano la mia profonda convinzione che in arte, come nella vita, è essenziale la convivenza fra l’intellettuale, il monaco e il selvaggio.
Wassily Wassilyevich
Dalle campate laterali una figura cammina verso di me. Il pannello dipinto che regge non è poi così grande ma ne nasconde il viso. Lo riconosco solo quando è ormai vicino. È Kandinsky. Un gigante. Un maestro della Bauhaus, la scuola che ha provato a liberare l’uomo da un passato divenuto ‘ornamento’: forma-fardello, tanto pesante quanto vuota di senso. Quest’uomo e i suoi eroici colleghi hanno sfidato il nazismo -che li definiva “degenerati”- mostrando al mondo la banalità, equivoca e malvagia, della separazione tra arte e scienza. Alla barbarie propagandistica del Reich, che ne usurpava il lessico, oppongono la vera natura del classico: la razionalità. Il concreto potere dell’astrazione, l’eleganza del ragionamento contro la violenza delle dimensioni e la retorica delle linee fredde di finzione.
Tiki-taka
Il maestro rompe il ghiaccio.
Kandinsky – Il tilolo è “Bunt Im Dreieck” o, se ti spaventa il tedesco, “Bigarrure dans le triangle”. Nella tua lingua sarebbe “Varietà di colori nel triangolo”. Che ne pensi
Un solo colore mi sale in viso a causa di ciò che sto per dire, ma il mio occhio primitivo è velocissimo e la lingua pure.
Io – “Maestro mi perdoni l’accostamento ardito. Il quadro ha scatenato un’associazione meccanica. Ho pensato al Tiki-taka. Ho pensato alla Spagna di Luis Aragonés, al Barcellona di Pep Guardiola e, per amore, al Napoli di Sarri”.
K – Ma di cosa mai vai parlando? Facile immaginare il legame fra Spagna, Barcellona e Napoli, ma chi sono questi artisti che hai nominato? Cos’è questo Tiki-taka?
Inizio a sudare. Mi faccio coraggio e riprendo.
I – Ricorderà di sicuro com’è nata l’espressione “impressionismo”. Coniata da un critico per schernire i giovani pionieri, divenne poi un amatissimo marchio di fabbrica. Analogamente, un certo Montes, un commentatore, annoiato dalla partita di calcio che stava seguendo, pronuncia la frase: “Estamos tocando tiqui-taqua”.
K – Dunque parlavi di calcio?
I – Si maestro. I tre artisti di cui mi ha chiesto sono allenatori. Pensavo al calcio.
K – Ah ecco. Allora è facile. L’associazione è sicuramente scaturita del campo verde che fa da sfondo.
I – È probabile. Le sembrerà strano ma non ci avevo pensato. In verità – a lei posso confessarlo – ho una fissazione per i numeri e ho subito contato le aree colorate definite da circonferenze.
K – E…?
I – Sono undici maestro. Come i giocatori di una squadra.
K – Ich bin erstaunt! Sono stupito. A questo non avevo pensato io. Del resto, pur conoscendo il gioco, non sono esattamente un tifoso appassionato. Propongo. Tu mi parli di pallone e io ti porto nel mio spazio. Chi comincia?
I – Non mi permetterai mai.
Astrattismo lirico
K – “Varietà di colori nel triangolo” è uno dei miei ultimi lavori. L’ho realizzato mentre ero in esilio in Francia, espulso pure dall’Accademia di Berlino. La sfortuna ha voluto che me ne andassi nel ’44, perdendomi la fine della guerra. Negli anni del tramonto ero immerso in un sacro delirio sinestetico. Nella mia testa, così come nelle mie opere, suoni, colori e forme erano unità inscindibile. Sentivo nel midollo e in ogni fibra la pittura dissolta nella musica, materializzavo le note nei colori. Tutto, si espandeva all’infinito restando primigenia potenza.
I – Sono commosso. Comprendo adesso pienamente perché la definiscono “sciamano”.
K – L’Universo è caos e ordine, astrazione e materia, precisione del calcolo ed ebrezza dell’errore. Il rigore della geometria, il triangolo, le rette e la spudorata, fluida vitalità dei colori e delle curve.
Dimmi. Ci siamo allontanatati troppo dal pianeta del tuo gioco?
I – Niente affatto Maestro. Anzi. Umilmente proverei a spiegarle il perché.
K – Sentiamo.
Triangolazioni
I – Allora le racconterò quello che è successo il 13 ottobre del 2007, il giorno in cui, dicono, nació el tiqui-taqua. La selezione spagnola, le furie rosse, si presenta in Danimarca, allo stadio di Aarhus, in condizioni critiche: vittoria o eliminazione dal campionato europeo. Mancano all’appello alcuni fra i migliori giocatori: Torres, Villa, Senna, Puyol. Di necessità virtù. Luis Aragonés schiera una formazione assolutamente inusuale che include Iniesta, Cesc e Tamudo. Lo schema tattico è altrettanto sorprendente. 4 -1- 4 -1
K – Ne manca uno. Così sono dieci.
I – Il portiere non viene inserito nello schema. L’imponderabile ha imposto il disegno di una squadra e ridefinito il suo futuro. Lo stile di gioco espresso quella sera, da quegli uomini, diventerà un modello calcistico ammirato ed emulato. Fa felice tanto i giocatori quanto il popolo degli spalti.
K – Voglio saperne di più.
I – La palla deve spostarsi velocissima da un calciatore all’altro. I compagni di squadra, muovendosi in un’area di pertinenza …
K– I miei cerchi!
I – Esatto… Si dispongono sul terreno formando una maglia triangolare intorno agli avversari. Come in un gioco di prestigio, rimbalzando sui vertici, la sfera di cuoio sparisce alla vista. Gli spettatori ipnotizzati disegnano con gli occhi sequenze di segmenti per figure a tre lati, mentre in campo i malcapitati avversari sprecano tutta la loro energia correndo inutilmente. L’esaurimento psicologico anticipa quello fisico. Le sanzioni seguono i gesti di pesante frustrazione.
K – Riesco a immaginarli in vibrazioni di giallo.
I – Intorno alla metà del 38° minuto prende forma il primo capolavoro della corrente Tiki-taka.
Capdevilla, un difensore, recupera un pallone e apre le danze. Dalla difesa all’attacco, poi di nuovo al centrocampo. Lì avviene il paziente sfiancamento del nemico. Lì si attende l’errore. Sempre da lì, senza mai rompe la rigida maglia triangolare, parte l’attacco improvviso: l’accelerazione che porta la Spagna fino alla porta danese.
K – Un triangolo provoca un’emozione viva perché è esso stesso un essere vivente. È l’artista che uccide se lo applica meccanicamente, senza direzione interiore.
I – Pura poesia! L’orchestra iberica esegue alla perfezione. Dalla panchina la direzione di Aragonés. In mezzo al campo, dettando tempi e traiettorie, i due solisti: Xavi e Iniesta. Ventotto passaggi. Un altro difensore, Sergio Ramos, deposita il pallone in rete. Uno scavetto morbido e preciso è l’ultima degna pennellata di una mirabile composizione. Fantasia, rigore, velocità e precisione. La più raffinata combinazione di tecnica e gioco.
K – Cosa c’è scritto su quel foglietto che stai tormentando? Deve essere importante.
I – Questo? È arrivato qui poco prima della sua improvvisa apparizione. Un frammento di bellezza e verità.
K – Leggimi, per favore, quel che c’è scritto.
I – “Nell’antica Grecia l’arte si chiamava téchne cioè tecnica, nell’antico Giappone si chiamava asobi, che vuol dire gioco, quindi quello che io cerco di fare nella mia attività e di mettere insieme il gioco con la tecnica, il caso con la regola, l’equilibrio degli opposti”. È Bruno Munari.
Il maestro accenna ad un sorriso.
K – Vado a dirgli che le sue parole non sono state dimenticate.
Scompare.