La famiglia Menna, la più pallonara di Scampia e dintorni

La storia della famiglia più pallonara di Scampia. La storia di un padre allenatore e di tre fratelli attaccanti: Mario, Antonio e Gianluca. Una storia lunga 30 anni.

In foto Mario Menna (sx) con Giuseppe GelottoIn foto Mario Menna (sx) con Giuseppe Gelotto
Articolo di Rosario Esposito La Rossa21/10/2025

Scampia è nata più o meno nel 1977. I primi abitanti sono arrivati intorno a quell’anno. Tra loro c’era mia nonna, la signora Romano, la famiglia Capuozzo e tanti altri. Non c’era niente, non c’era la chiesa, non c’erano le scuole, non c’erano le strade. C’era solo la Salumeria Sant’Antonio che dal 1977 sforna panini per il quartiere e non solo. 

Ecco, Scampia non ha tanta storia, è un quartiere giovane, ma ci sono famiglie che da decenni sono pilastri di questo quartiere, di questo rione, di questo agglomerato di palazzi. Una delle famiglie pallonare di Scampia è senza ombra di dubbio la famiglia Menna. Non ricordo famiglie come questa, capaci di incidere calcisticamente da decenni. Un padre e tre figli. Tutti patiti per il pallone. Li ho visti giocare tutti, li ho visti segnare tutti, li ho visti tutti assetati di vittoria, quella pura, genuina, con un pizzico di cazzimma. Questa famiglia pallonara in realtà è di San Pietro a Patierno, per amicizie, per familiari, nonni, zii, hanno passato pomeriggi, mesi, anni, “abbasc e kappe”. 

Un papà allenatore già ai tempi della ormai sparita scuola calcio Farmax, poi diventata Sporting Neapolis. Un papà piccolo, basso, attento, sempre sul campo, nonostante il freddo, nonostante la pioggia. Pane e pallone, sempre in mezzo ai ragazzi, ai giovani. Lui ha trasmesso il virus ai figli. 

Parto dal più piccolo Gianluca, classe 1987. Un nervo. Basso, velocissimo, si buttava nelle mazzate come pochi. L’altezza non è stata mail il suo problema. Quando si arrabbiava si mordeva la lingua. Non l’ho visto mai buttarsi per terra. Baricentro basso, palla sempre attaccata al piede, tiro fulminei. Gianluca è stato uno degli attaccanti più forti del quartiere, della sua generazione. Un fastidio per i difensori. Una zanzara in aria di rigore. 

Il secondogenito si chiama Antonio. L’ho sempre visto sorridere. Rispetto ai fratelli mi è parso giocasse per il pubblico. Giocasse per la giocata. Giocasse per poter raccontare. Antonio giocava per sfottere, per un tunnel ad un avversario preso di mira, giocava coi piedi e con la testa, con la pressione psicologica, con lo sfottò. Ecco, lui è stato un attaccante capace di far esaurire chiunque comparisse sulla sua strada. L’unico che io abbia mai visto capace di far un pallonetto ad un portiere alto due metri. 

E poi c’è Mario. Il mio preferito. Il più grande. Non ho avuto molte occasioni di giocare con Mario, siamo due generazioni diverse, però credo che Mario sia stato l’unico calciatore della storia del Parco Corto Maltese a ricevere un premio alla carriera. Per il numero di gol, per il numero di partite giocate, di tornei disputati, ma soprattutto per l’armonia, per la gioia che ha portato nel rione. Sempre disponibile, la battuta sempre pronta, uno che nonostante non amasse perdere non ha mai fatto della sconfitta un problema. Bisognerebbe scrivere un libro sulla storia di Mario, sulle sue cadute e sulle volte che si è rialzato, sempre col sorriso. E sono felice di incontrarlo alla Salumeria Sant’Antonio mentre entrambi, dopo 20 anni, siamo ancora in fila ad aspettare un panino, a parlare di pallone. 

La dinastia dei Menna non è finita, il figlio di Mario è probabilmente il più forte di tutta la sua famiglia. Giovanili dell’Ascoli, del Napoli, un mix di suo padre e dei suoi zii condensati insieme. Non so se in futuro vedremo qualcuno della famiglia Menna in serie A, ma che importa, regalare 30 anni di gol ad un intero quartiere mi pare un traguardo bellissimo per la famiglia più pallonara che io abbia mai visto.

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