Non ho mai visto Maradona
Viaggio poetico-malinconico sul mito di Maradona, simbolo di riscossa e umanità per il popolo napoletano. Pur non avendolo mai visto giocare, in molti ne percepiscono la viva presenza nei volti, nei vicoli e nella collettiva memoria cittadina. Viaggi tra nostalgia, eredità familiare e fede laica. Maradona diventa figura paterna e salvifica: unisce, ispira e dona la possibilità di emozionarsi e rinascere. Ancora una volta.
Maradona - credits to Instagram maradona“Non si può spiegare…”. Questa è la frase – sentenza – che comunemente viene detta, a cuore aperto e gonfio di orgoglio, da chi ha potuto assistere a quella magia sportiva. Vivrò con una eterna invidia in vita mia, e di chi è della generazione cresciuta negli anni 90, ossia quella nei confronti di chi ha potuto ammirare Maradona calpestare i prati verdi del mondo. Deve essere stato qualcosa di lontanamente immaginabile, che nessun video o nessun racconto possa mai essere così fedele. E fa tanta rabbia, perché le vorrei le spiegazioni, vorrei capire davvero cosa avete provato, voi maledetti fortunati, con ancora negli occhi i passi felpati del ragazzo di Villa Fiorito.
È insopportabile. Vorrei che collegaste la mia mente con i vostri ricordi e, come un flashback, permettetemi di osservare ciò che i vostri occhi hanno visto e le vostre orecchie hanno udito. Come se fossi Marty Mcfly in Back to the Future, che volutamente però torna al passato per rivivere certe sensazioni. Eppure, nonostante io non abbia mai visto giocare Diego, è così presente nella mia vita, e di chi non ha potuto vederlo dal vivo. Così presente nella gente che incontro, nei vicoli spesso banalizzati di una città che per anni ha mangiato pane e pallone, àncora di vita l’uno, e salvezza dell’anima l’altro.
Pensate ancora a Maradona?
“Con tutti questi problemi, pensate ancora a Maradona e al pallone?”: una frase che spesso ho sentito dire da chi non capisce bene cosa sia stato l’argentino, forse con le loro dovute ragioni. Come se con tutti i problemi, per risollevarsi da qualsivoglia turbamento, una persona non pensasse alla propria amata, alla propria famiglia, al proprio pensiero felice.
Cosa c’è di male ad albergare in Maradona il nostro pensiero felice? Noi, Peter Pan moderni, cosa facciamo di male nel fermarci ancora per le strade tappezzate del suo faccione? Prima che iniziate a dire che lui non era uno stinco di santo, lo sappiamo bene già da noi. Chiunque ha commesso un errore di cui si è pentito e che a cui non ha saputo mai rimediare.
Chiunque ha potuto ferire qualcuno: la differenza sta nel prendere coscienza di ciò che si è fatto, ed essere responsabili delle conseguenze che andranno pagate. Una lotta per demonizzare l’argentino, che ne ha combinate di tutti i colori, ma ne ha fatte tante, in silenzio, lontano dai riflettori, che noi napoletani – e non solo – conosciamo bene. E che gelosamente custodiamo.
Probabilmente non vale nemmeno la pena raccontarle, tanto da non dare le perle ai porci. Ebbene: cosa ci troviamo in Pelusa? Lui ci ha salvati. A me personalmente, ha tirato fuori da tanti guai. È stato argomento di aggregazione e di riunione con persone che mai avrei pensato di incontrare in vita mia, l’esaltazione di un genio che anche con i suoi errori, mi ha messo in guardia dai miei.
Mi ha fatto comprendere che certi limiti non vanno mai superati, proprio perché l’ho visto cadere nei suoi. E dalle cadute l’ho visto rialzarsi, da quelle pesanti che ti affossano. E soprattutto l’ho visto rialzarsi, faccia tosta più napoletana di qualsiasi scugnizzo, dal giudizio. Quel giudizio che se non sai gestire, può annientarti, e mandarti nell’oblio. Ma forse il tema è proprio questo: ci si sente più forte nel giudicare qualcuno.
Miracolo laico
Ho capito che solo tu puoi essere l’unico bastone di te stesso, mentre tutti sono bravi a dirti che stai sbagliando, e nel sottolineare il tuo errore con un “te lo avevo detto”. Quando perdi ti guardano e ti additano tutti, quando vinci magari credono sia merito di qualcun altro. Ed è dagli affanni della vita che Maradona si è dovuto riprendere, più che dai calcioni degli avversari Goikoetxea – macellaio di Bilbao – che ti rosicchiano le caviglie.
Ha riunito una comunità che attivamente si mobilita per tematiche che nemmeno i più rumorosi gruppi ecclesiastici bizzochi riuscirebbero a snidare. Ha riunito popoli lontani, che non avrebbero nulla in comune se non la passione per il 10. Ha compiuto un miracolo laico dopo la sua morte. Napoli, spesso allontanata dai pregiudiziosi seriali, ha finalmente avuto il suo colpo di coda, vivendo un’epoca nuovamente d’oro, in cui gruppi di turisti si accavallano per godersi una fetta.
I Quartieri Spagnoli, su tutti, luogo per troppi anni simbolo di degrado, incuria e delinquenza, stanno vivendo una meritata rinascita. E da sempre questo sentimento è ribollito da Vico Lungo Gelso, a “Magnocavallo”, al Vico Lungo Teatro Nuovo, e così per la Speranzella e via discorrendo. Nel famoso largo dove campeggia un suo murales su un palazzo, non si contano i visitatori in pellegrinaggio, tra personalità famose, calciatori, allenatori e gente comune.
Ha riportato alla vita un luogo che altrimenti sarebbe stato dimenticato da tutti, in cui fede e speranze sembravano remote ambizioni. Noi del sud siamo condannati alla speranza. Questo è ed è stato Diego. Capace in un attimo di mettere la vita all’incrocio dei pali, proprio quando pensavi che era persa, smarrita.
Ti batte ancora il corazòn?
Io non l’ho mai visto, altro che “mi batte il corazón? Non ho Ho visto Maradona”. Ne ho solo sentito parlare, quindi. Tante volte, tra i vicoli, nelle storie, sui muri, nelle pietre, sui volti, negli occhi e nelle espressioni a queste latitudini. Napoli è una città di fantasmi. Ogni pietra, ogni voce, ogni vicolo è abitato da presenze che non se ne vanno mai. Una “città-anima” sospesa tra eros e thanatos, realtà e sogno. Quell’uomo lì l’ho solo visto nelle videocassette. VHS, tante.
Compagne notturne, amiche pomeridiane: macchine del tempo che ti fanno ripercorrere un passato mai vissuto, eppure così tremendamente tuo e incredibilmente attuale. Io quell’uomo con i capelli ricci non l’ho mai visto. Non l’ho mai visto cadere su quel prato, rialzarsi, affrontare e sfidare chiunque osasse sottrargli la dignità. Quella dignità che ha perso e ritrovato centinaia di volte. No, non l’ho mai visto. Eppure, il suo nome è marchiato sulla mia pelle, le sue gesta nell’anima.
Mio padre aveva quella chioma riccia così folta da giovane. Era un bell’uomo, magro e non troppo alto, ma slanciato. Un ottimo, pregevole, piede sinistro. Un giorno, mentre rincorrevamo O’SuperSantos nel Bosco di Capodimonte, come al solito lui si divertiva a farsi rubare il pallone da noi. Un bel giorno: “prendete il pallone”, e via, un calcio di sinistro in alto, verso l’infinito. Il pallone spariva tra le nuvole, più bianche di quelle di Einaudi, per poi ricomparire come un meteorite in qualche parte del campo, e di lì la corsa a chi arrivava per primo. Poi, uno di noi gli servì nuovamente il pallone. E iniziò a palleggiare. Di sinistro: uno, due, tre, cinque, dieci, venti.
Poi di destro. Poi di testa. E ancora uno, poi altri 5. Dieci ancora. Non si fermava più. Quei ricci ballavano sulla fronte, e mentre palleggiava con la testa, senza sosta esclamò quella frase: “io sono il fratello di Maradona”. Quel tizio in maglia numero 10, lo avevo solo visto in video, ma quei capelli ricci di mio padre erano così simili, così veri, così maradoniani.
Io ci cascai. Sì, non lo avevo mai visto, ma lì davanti a me avevo suo fratello. Che palleggiava e palleggiava con la testa. E la mia, seguiva il suo andamento, su e giù, di quel pallone. E poi ancora, “bam!”, un sinistro nell’aria. Vado a prenderlo io quel pallone: papà è un Maradona!
Un Maradona nelle nostre vite
E ogni nostro padre, o chi ci ha fatto da tale – il padre è solo un uomo, e gli uomini son tanti, scegli il migliore, seguilo e impara – lo è stato: ci ha insegnato qualcosa. Lo abbiamo visto piangere in silenzio, arrancare, ma lanciarci sempre lontano quel pallone per farci giocare e farci vivere. Maradona-padre scacciapensieri. Non l’ ho mai visto, ma ho visto cosa ha fatto sulla mia gente, e cosa può ancora fare. Il sentimento della condivisione, il voler condividere luoghi e storie con gli altri, con il visitatore.
La proverbiale ospitalità partenopea, rumorosa e talvolta invadente, che è argento vivo, un fuoco che ti fa sobbalzare e ti accende. Una pennellata voluta da Dio, concessa all’umanità, certifica poi dal Dios del calcio. Abbiamo quindi tutti bisogno di emozionarci, e soprattutto, quando abbiamo smesso di farlo? Nostro spirit bird, discendere verso il mare, e farci perdere nella nostalgia.
Cantava Valeria Lynch: Más, tú eres para mí la cumbre del amor, La tierra, el fuego, el sol, la lluvia en el trigal, Por esa forma quieta que tienes de amar. Per dirla alla Pasolini: “Io non so se è più giusto credere in Dio o negli uomini. Ma so che gli uomini, a volte, sono più veri dei santi.” E allora, ¿de qué planeta viniste? Urlava Victor Hugo Morales, nella serpentina – cacciatorpediniera – argentina, in terra del Messico, contro i calciatori di sua Maestà the Queen.
Genio, genio, genio! Non ho visto Maradona, ma in fondo, sono contento così.
