Diego, il rivoluzionario che unì Napoli
Nel ricordo di Luigi de Magistris, il ragazzo della curva B diventato sindaco. Dalla gioia del primo scudetto alla cittadinanza onoraria, fino all’intitolazione dello stadio: il racconto di un amore che ha attraversato generazioni e cancellato ogni confine sociale.
Credit Photo by Gazzetta dello SportEra l’inizio dell’estate del 1984, avevo appena compiuto 17 anni, quando il Napoli di Ferlaino acquistò il campione argentino Diego Armando Maradona.
Mi trovavo in Sardegna, in campeggio, con i miei compagni di classe. Una gioia immensa leggere i titoli dei giornali. Decisi di abbonarmi allo stadio, in curva B, poi rinnovato sino alla stagione 1989-1990. Nello stadio San Paolo mi sono gustato i due scudetti, soprattutto quello mitico, il primo ed indimenticabile del 1987. Diego è l’unico napoletano, perché Diego è napoletano, che ha unito tutti i napoletani, senza distinzione alcuna: bambini e vecchi, poveri e ricchi, comunisti e fascisti, donne e uomini, periferia e centro.
Diego ha portato Napoli, attraverso il pallone, al riscatto della nostra città. Erano ancora gli anni del dopo terremoto, di un omicidio di camorra al giorno nel napoletano, una città umiliata da una politica spesso corrotta. Dove aveva fallito la politica, la società civile, la stessa cultura tradizionale, arrivò lui, con il suo genio calcistico, portando il primo scudetto a Partenope.
Diego è sempre stato dalla parte degli oppressi, degli ultimi, dei fragili, la sua scelta di rifiutare la Juventus, la squadra del sistema nel calcio, fu esemplare. Il tatuaggio di Che Guevara che aveva scolpito sul braccio è l’emblema dello spirito rivoluzionario del pibe de oro.
Da Sindaco di Napoli ho voluto sancire per sempre la napoletanità di Maradona conferendogli nel 2017 la cittadinanza onoraria napoletana. Ci fu anche qualche intellettuale da salotto ammuffito e qualche opinionista un po’ bigotto che criticarono la mia scelta perché Maradona da uomo aveva fatto troppi errori, era una sorta di fallimento umano.
Che ipocrisia. Diego è stato umano, ha fatto errori certo, anche gravi, ma è stato un uomo che ha regalato con lo sport emozioni senza fine al nostro popolo. Ricordo la gioia enorme di Diego quando gli conferii la cittadinanza onoraria, lui che si sentiva già profondamente napoletano. Il ballo spontaneo a Palazzo San Giacomo, sede del Comune.
E poi quando Diego morì, da solo, nella sua Argentina, abbandonato da chi gli doveva stare vicino, non esitai un attimo ad interpretare il sentimento collettivo popolare dei napoletani approvando subito la delibera di giunta comunale con cui intitolammo lo stadio San Paolo a Diego Armando Maradona.
Che emozione anche oggi, a distanza di anni, quando sento in radio e in televisione il collegamento da Napoli, dallo stadio Diego Armando Maradona. Dovetti derogare al limite dei dieci anni dalla morte per intestare un bene ad un defunto. Diego era l’eccezione che meritava la deroga.
Sono orgoglioso da sindaco, da napoletano e da tifoso di aver contribuito a scolpire per sempre il nome di Diego alla nostra città. Senza lasciarmi avviluppare da finti moralismi, perché ho fatto ciò che era giusto e perché Diego è un patrimonio del popolo napoletano, senza confini.
Nei miei incontri e chiacchierate con Diego, le sue parole erano sempre per i più giovani, le periferie, i poveri. Diego era un rivoluzionario, genio e sregolatezza, non un esempio di uomo, ma un uomo che ha scritto la storia calcistica e umana della nostra amatissima Napoli.
