Maradona, scansaci tu!
Diego Armando Maradona tra fede popolare e poesia napoletana. Il ricordo di Pietro Pesce
Credit Photo by Chalo GallardoEro a Napoli, per lavoro, nella settimana che precedeva la partita di Udine, quella che avrebbe regalato il terzo scudetto alla città. Sì, alla città, prima ancora che alla squadra.
Accompagnato da colleghi romani e milanesi, approfittammo di qualche ora libera e di un bellissimo pomeriggio primaverile di inizio maggio per regalarci una passeggiata da Santa Lucia fino alla zona di Porta Nolana, passando tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli ed il Centro storico, immersi tra le mille bandiere e striscioni che adornavano la città. Eravamo immersi in un unico colore azzurro, dal mare al cielo.
Inutile dire che i miei “ospiti” restarono ammaliati ed affascinati da cotanto folclore, non capacitandosi (soprattutto i milanisti e gli interisti) dell’immensa gioia che quello scudetto stesse donando al popolo napoletano.
Cercavo di far capire loro quanto questo scudetto potesse rappresentare un senso di rivalsa anche sotto il profilo sociale, prima ancora che sportivo, quando fui interrotto da uno di loro che mi chiese il motivo per cui veleggiavano tantissime effigi di Diego, a discapito di quelle di Osimhen o Kvara, quasi come se el Pibe fosse stato ancora in campo, artefice di quel terzo scudetto.
La mia risposta fu semplice e (per me) ovvia: “E certo!!!”. La loro espressione un po’ perplessa e titubante mi fece capire che non fui proprio del tutto esaustivo…
Diego: non serve aggiungere altro. Già si capisce tutto.
Diego non era solo un genio del calcio. Era un simbolo di appartenenza e di rivincita: apparteneva a chi non aveva niente, ma sapeva ancora sognare; a chi voleva dimostrare di essere, prima ancora che di avere; a chi voleva far sentire la sua voce, troppo spesso soffocata e denigrata da un’ampia parte dell’Italia. Diego era ed è l’immagine più umana e più autentica di questo sport: non una “macchina da goal”, ma un essere umano pieno di imperfezioni, disordinato, ma vero.
In quanto amante del calcio popolare, giocato sui campi polverosi di periferia, e dei suoi riflessi sull’aspetto sociale ed aggregativo prima ancora che sportivo, mi piace ricordare Diego per due episodi, per niente correlati a vittorie di campionati, coppe europee o del Mondiale.
Il primo episodio si lega alla famosa “partita del fango”, giocata ad Acerra per raccogliere fondi per una costosa operazione chirurgica per un bambino acerrano, durante la quale Maradona offrì non solo il suo “classico” spettacolo, nonostante un campo reso impraticabile da una pioggia battente, ma anche la sua solidarietà verso persone in difficoltà.
In quel campione e nelle sue grandi giocate, viveva e si esprimeva quel fanciullino di pascoliana memoria che, divertendosi nel correre dietro a un pallone, trascinava con sé un’intera città, che si affidava a lui quasi come ad un santo protettore.
Beh, non proprio “quasi”, considerando le tantissime edicole votive a lui dedicate, sparpagliate in giro per la città. E qui si aggancia il secondo episodio, tratto dal film “Il mistero di Bellavista” di Luciano De Crescenzo che, con grande maestria, leggerezza e passione, sapeva raccontare la napoletanità.
Mi riferisco, in particolare, alla scena in cui sul rifugio antiatomico, che il genero del professore Bellavista tentava invano di vendere ai napoletani, campeggiava la scritta “Maradona scansaci tu”, proprio a fianco dell’immagine della Madonna perché, come declamava Giggino ‘o poeta: “Architè, voi credete nella Svizzera. Noi, col vostro gentile permesso, crediamo nella protezione di Maradona!”.
E, sempre Giggino, per consolare l’Architetto, afflitto dalla difficoltà di vendere un solo rifugio, prosegue: “Archité, sentite a me: affidatevi alla protezione di Maradona. Vedrete, quello, prima o poi, vi fa vendere pure qualche rifugio antiatomico. E, per l’occasione, permettete di dedicarvi questo pensiero poetico: San Gennà, non ti crucciare, tu lo sai, ti voglio bene, ma ‘na finta ‘e Maradona squaglie ‘o sang rint’ ‘e vene! E chest’è!”.
Tre minuti di pura poesia!!!
Diego: un ragazzo argentino, accolto da un’intera città che non l’ha fatto sentire mai straniero, trattandolo subito come un proprio figlio e facendogli vestire quei panni da napoletano che, una volta indossati, non ha tolto mai più.
Ecco perché, a Napoli, di Diego si parla al presente. A Napoli, Diego non si ricorda: si vive.
