Campioni di tattica, ripetenti di civiltà: l’Italia secondo l’UEFA

"Frattaglie – Il pallone visto dal lato storto", la rubrica dissacrante e appassionata in cui Vincenzo Imperatore racconta il calcio con osservazioni sparse, provocazioni e lo sguardo libero del tifoso, questa settimana analizza il report Uefa che classifica l'Italia agli ultimi posti della civiltà sportiva

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Articolo di Vincenzo Imperatore03/11/2025

L’Italia è il Paese che ha inventato il Rinascimento, la lirica e il caffè sospeso. Quello che si indigna per un rigore sbagliato ma parcheggia in seconda fila “solo cinque minuti”.
Abbiamo insegnato al mondo l’arte della bellezza e della furbizia, e da secoli viviamo in equilibrio tra genio e caos, tra Machiavelli e ‘o pazzariello.
E allora non stupisce che, quando la UEFA misura non i gol ma il comportamento, l’Italia scivoli nelle retrovie.

Secondo l’ultimo Respect & Fair Play Report 2024, la nostra Serie A si piazza al 36° posto su 51 campionati europei per condotta complessiva.
E se guardiamo il comportamento dei tifosi, la musica è anche peggiore: 39° posto, alle spalle di paesi come Israele, Lettonia, Azerbaigian e Romania.
Insomma, non esattamente un record da sbandierare al balcone.

La UEFA non misura i like sui social, ma si basa su cinque parametri ufficiali, ciascuno valutato da osservatori indipendenti e arbitri internazionali su scala da 1 a 10:

Condotta dei giocatori – numero di cartellini, proteste, atteggiamenti antisportivi e rispetto delle decisioni arbitrali.
Rispetto verso gli avversari – atteggiamenti corretti, fair play dopo i falli, niente provocazioni o simulazioni teatrali.
Rispetto verso gli arbitri – evitare accerchiamenti, insulti o tentativi di “pressione psicologica di gruppo” (categoria in cui eccelliamo, purtroppo).
Condotta dei dirigenti e dello staff tecnico – comportamento in panchina, linguaggio, proteste, rispetto delle aree tecniche.
Comportamento del pubblico – cori, insulti, lancio di oggetti, fumogeni, razzismo e discriminazioni.

Ogni sezione contribuisce alla media Fair Play UEFA, che incide anche sui contributi economici ai club e sull’immagine del movimento calcistico nazionale.

Ebbene, l’Italia risulta tra i paesi meno corretti d’Europa.
Non siamo ultimi solo perché c’è sempre qualcuno che ci salva la faccia più in basso nel ranking, ma la sostanza non cambia: Siamo i più brillanti tatticamente e i più allergici alla disciplina

Proteste? Tante. Simulazioni? Un’arte. Panchine che sembrano talk show? Quasi un genere televisivo.
E sugli spalti, tra cori, striscioni “creativi” e la mitologia della furbizia, continuiamo a confondere la passione con la prepotenza.

In fondo siamo ancora l’Italia dei Comuni: divisa, orgogliosa, gelosa della propria piazza e diffidente verso l’arbitro “forestiero”. Il calcio, qui, è la prosecuzione del campanile con altri mezzi.
E se la UEFA misura il “rispetto”, noi misuriamo il volume della voce.
Non è cattiveria, è identità: la stessa che ci fa geniali a creare, ma insofferenti alle regole.

Finché continueremo a confondere il fair play con la debolezza, il rispetto con la sudditanza e il silenzio con la resa, resteremo nella bassa classifica dei comportamenti.
La prossima volta che un arbitro verrà accerchiato o un tifoso lancerà un insulto “tanto per scherzare”, ricordiamoci che la UEFA non ci giudica per i gol… ma per come li reagiamo.

Perché il problema, qui, non è il modulo.
È la mentalità: da Machiavelli a Lino Banfi (l’allenatore nel pallone), passando per la curva.

 

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