La rinascita di Leonardo Spinazzola, un inno al crederci sempre
Claudio Agave ci racconta il ritorno di uno degli esterni italiani più forti della sua generazione. Dal baratro dell'infortunio alla cura Conte. Finalmente è tornato Leonardo Spinazzola

“Per i primi 3 mesi ero carico. Poi…il buio. Quella fu la fine, una vera depressione. Nella testa ho avuto uno stacco. Anche quando tornavo al campo d’allenamento, non ero più me stesso. Non mi aprivo, era difficile starmi accanto, perché io non volevo: ero entrato in protezione. Per fortuna c’era mia moglie, la mia migliore amica. E ho incontrato le mie grandi psicologhe, che tuttora mi seguono. Sono state importanti e non c’è vergogna a parlarne. Il ritorno in campo è stato un po’ come la luce in fondo al tunnel”, parlava così Leonardo Spinazzola, ai canali ufficiali del Napoli, del suo periodo più duro, quello che lo aveva privato – per qualcuno – persino dello status di calciatore.
Non aveva ancora vinto lo Scudetto con gli azzurri, non sembrava nemmeno poter tornare l’eclatante esterno ammirato ai tempi (soprattutto) di Atalanta e Roma. Eppure, ci credeva. E ci ha sempre creduto. Perché, forse, il segreto è proprio lì.
Da “ex” giocatore a protagonista assoluto
Appena arrivato a vestire l’azzurro, Spinazzola era stato accompagnato da un coro di voci piuttosto automatiche ma poco autentiche e cordiali, anch’egli vittima della retorica dell’ormai “ex” calciatore che, dopo un grave infortunio – e altri problemi di sorta – non poteva, nella testa di molti, riuscire a rilanciarsi. Un meccanismo simile (ma differente per tematica) a quello vissuto, proprio a Napoli, dal brasiliano Juan Jesus fin dal suo arrivo. Lo stesso calciatore che poi con gli azzurri avrebbe vinto 2 Scudetti e giocato anche parecchio.
In sordina, l’ex Juventus cercava un posto di rilievo che assomigliasse a un altare più che un baratro, dopo che la Roma – senza stare neanche troppo a pensarci – aveva deciso di privarsi delle sue prestazioni sportive. Impossibile, oggettivamente, riporre – all’inizio – delle speranze, delle ambizioni o qualche suggestione. Forse, lo stesso Spinazzola era ben conscio di un’etichetta di cui voleva liberarsi il prima possibile, che stava iniziando a diventare strettissima, come una camicia di forza.
A cavallo dell’Europeo, Spinazzola è stato probabilmente uno degli laterali bassi più forti in Italia e in Europa. Il gravissimo infortunio al tendine d’Achille, un’amara sentenza per ogni calciatore, portava con sé il rischio di minare l’aspetto atletico ma, anche (e specialmente) quello mentale. Troppo spesso ci si dimentica di quanto il calciatore non possa minimamente essere rappresentato come un superumano. Anche se, a volte, fa più comodo credere che sia così, per proporre risposte semplici a domande complesse.
Di fatto, Spinazzola arriva a Napoli come jolly: può giocare ovunque ma, come prevedibile, inizialmente si ritrova a non giocare in alcun ruolo. Il punto di svolta è forse quello di gennaio: pochissimo spazio, una cessione potenziale all’orizzonte e un amaro in bocca dopo un caffè senza zucchero all’ombra del Vesuvio. Poi, però, i tanti infortuni in rosa, una condizione che migliora, le chance che si moltiplicano. Il primo gol (arrivato proprio in casa della Roma), una serie di buone prestazioni. Uno Scudetto che assomiglia a un’impresa.
Oggi, per meriti suoi e di Antonio Conte, Spinazzola è tornato ai fasti di un tempo. “Basta con quest’Europeo! A livello di numeri dopo sono anche migliorato”, ha spiegato di recente, volendosi togliere anche qualche sassolino dalle scarpe. La gamba è tornata quella pimpante e dinamica di un tempo. Nel frattempo, specialmente a sinistra, Spinazzola ha ritrovato quella verve che gli consente di puntare e saltare l’uomo, o – all’occorrenza – crossare. Non è un terzino, non è un’ala: sa solo quello che non è. Ma lo sa bene, perché la sua importanza nello scacchiere azzurro è diventata imprescindibile.
Al Napoli manca, per caratteristiche e continuità, un giocatore che sappia affrontare l’avversario e che crei superiorità numerica: Spinazzola si è rivelato (o meglio: è tornato a essere) esattamente quel tipo di giocatore, un vero e proprio unicum per quello che dovrebbe essere “ufficialmente” un terzino. Una caratteristica moderna che, in termini tattici e di esposizione al protagonismo, lo accomuna ai migliori interpreti del ruolo.
Non c’è magia, solo realtà
La depressione sembra alle spalle. E speriamo che sia così per sempre. Adesso è arrivata di nuovo la convocazione in Nazionale, meritatissima – al di là dello sfortunato infortunio del suo collega Politano, un altro ragazzo inspiegabilmente escluso per lungo tempo dai destini Azzurri – e sintomo di una volontà ferrea, di un cuore d’oro. Non tutte le storie di infortuni nel calcio arrivano a un lieto fine. Il viaggio di Leonardo Spinazzola pare destinato – si spera – a un epilogo diverso.
Ma questa è una storia ancorata decisamente alla realtà, che vuole mantenersi scevra da tutti i cliché sul destino che ripaga, sulle rivincite e sulla magia dello sport. Qui il tocco da prestigiatore è stato quello di un ragazzo che ha scelto, semplicemente, di non arrendersi e di credere in sé stesso. Una lezione esemplare che trascende l’ambito sportivo e alimenta il suo sfogo nella quotidianità. Dobbiamo credere che storie del genere siano possibili e, più di tutto, renderci protagonisti attivi delle nostre vite, anche quando ci sentiamo persi nel vuoto, senza sapere come riempirlo. Ma un modo esiste. Lo si trova sempre.