Conte e gli altri: quando la leadership si ferma per respirare

Nella rubrica “La mente in campo”, affidata al prof. Alberto Cei, psicologo dello sport e assistente di Arrigo Sacchi ai Mondiali USA ’94, una riflessione sulla nuova emotività degli allenatori: in un calcio che celebra l’esplosione delle emozioni, il gesto di Antonio Conte di fermarsi può diventare il vero esempio di maturità e di equilibrio nella gestione della leadership.

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Articolo di Alberto Cei15/11/2025

Negli ultimi anni è diventato evidente un cambiamento profondo nel modo in cui gli allenatori di calcio vivono la partita a bordo campo. Se un tempo il tecnico doveva essere una figura di controllo, quasi distaccata e misurata, oggi sembra normale vedere allenatori che urlano, gesticolano, si disperano o esultano come se fossero ancora giocatori in campo. È come se nel calcio, come in molti altri ambiti della società, fosse diventata una regola mostrare apertamente ogni emozione, senza filtri e senza pudore, perché viviamo in un’epoca in cui esprimere ciò che si ha dentro è percepito come un valore, quasi come una forma di autenticità necessaria.

Questo però ha un costo. Lo si è visto in modo chiaro nel caso di Antonio Conte, che dopo aver ammesso di essere arrivato al limite ha deciso di prendersi una settimana di pausa per stare con la famiglia. Non è l’unico: gli esempi sono tanti. Allegri ha costruito quasi un personaggio attorno alle sue urla e ai lanci della giacca, Spalletti è uscito psicologicamente provato dalla sua esperienza con la nazionale, Guardiola si tormenta letteralmente la testa a bordo campo quando la sua squadra non gira come vorrebbe e Mourinho porta spesso in scena veri e propri atti teatrali di protesta o frustrazione. Tutti modi diversi di vivere lo stesso paradosso: un ruolo che richiede sempre più coinvolgimento emotivo e allo stesso tempo divora chi lo interpreta con troppa intensità.

La cosa interessante è che questa esplosione di emotività si scontra con ciò che viene richiesto ai calciatori. A loro si chiede autocontrollo, capacità di essere aggressivi ma non impulsivi, di dimenticare immediatamente un errore, di non protestare, di rimanere concentrati sul gioco anche quando le emozioni salgono. È singolare pretendere disciplina da chi è in campo mentre si accetta, e talvolta si celebra, la mancanza di controllo di chi sta in panchina. È come se la leadership emotiva dell’allenatore fosse diventata una forma di spettacolo, un segnale di partecipazione totale, ma allo stesso tempo un esempio contraddittorio per chi dovrebbe seguire quelle indicazioni.

La sensazione è che stiamo andando oltre, che questa intensità costante non sia sostenibile. Espressione delle emozioni non significa necessariamente esplosione delle emozioni e forse la vera maturità sta proprio nel saper gestire ciò che si prova, non nel mostrarlo sempre e comunque. In questo senso, il gesto di Conte di fermarsi per respirare e ritrovare equilibrio potrebbe paradossalmente rappresentare la vera forma di leadership di cui oggi c’è bisogno.

Una leadership che non brucia, che non logora e che, soprattutto, dà il buon esempio anche fuori dal campo.

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