Il vecchio e il Barrilete cosmico

Il Barrilete Cosmico, il gol del Secolo di D10S, raccontato da Giovanni Salomone, attraverso un punto di vista inedito e particolare.

Barrilete cosmicoFrame del goal del secolo
Articolo di Giovanni Salomone30/10/2025

18 marzo 1985. Acerra magica.

Il vecchio trasecolò quando lo vide partire.

Era quello il momento, finalmente, in quel campo di patate, dentro quel fango, sotto quell’acqua. Quando lo vide recuperare il pallone a ridosso della linea mediana del campo, il vecchio chiuse naturalmente gli occhi, come se volesse tornare ai sogni che la sua mente analfabeta, ma laureata in sogni, produceva a getto continuo da quando quello aveva messo piede a Napoli.

Aveva messo piede a Napoli e messo nelle mani dei napoletani una tavolozza e pennelli e colori e aveva detto dipingete le cose più belle, quelle che vi hanno negato, le parole che non siete riuscite a dire, quelle che avete sulle labbra e non riuscite a sputarle fuori, tutte. Il vecchio chiuse gli occhi, ma li riaprì subito perché in fondo non poteva perdersi il sogno che diventa reale, la cosa impossibile che metro dopo metro, schizzo dopo schizzo, diventa cosa terrestre, che accade, che squaderna davanti mondi sconosciuti.

Quando il mezz’uomo prese palla e partì al vecchio sembrò l’attacco di un tango e visse quello spettacolo sulle note di Triunfal, il capolavoro con cui Astor Piazzolla stupì Nadia Boulanger, un giorno, a Parigi.

Il mezz’uomo volava – e come faceva, poi, che aveva il culo più vicino alle scarpette che alla punta dei riccioli – eppure il vecchio vedeva tutto al rallentatore, come se quella lentezza tutta sua fosse la porta spalancata sulla bellezza. E fa pure rima.

Un uomo duplicato il vecchio, e non il professore depresso di Saramago ma un acerrano con le mani callose e la barba ispida. Un uomo duplicato: da una parte lui che sta con gli occhi fissi sul mezz’uomo magico, impermeabile ai rumori tutt’intorno come se quel nano avesse silenziato il mondo; dall’altra, sempre lui, che senza rendersene conto inizia a urlare: vattenn rint a port sul tu!!!!! Vattenn rint a port sul tu!!!  Sul tu rint a port!!!!!

E il mezz’uomo con la zazzera nera e il numero dieci sulle spalle da solo se ne stava andando, ma con una squadra sulle spalle, una città sulle spalle, lui Atlante e Napoli il mondo. Se ne stava andando verso la porta in quel campo di fango, in mezzo a quelle tribune improvvisate di balconi e muri scrostati, e solo lui sapeva che come fece il rabbino Ben Becalel a Praga con il Golem, stava forgiando in quel fango una squadra leggendaria.

Il vecchio, fradicio di poggia e di lacrime, si voltò verso il parcheggio, lui che stava dietro la porta da mezz’ora prima che la partita cominciasse, e guardò le macchine dentro le quali il mezz’uomo e i suoi compagni si erano cambiati, i calcinacci accatastati al muro. Guardò la gente affacciata ai balconi e i vecchi come lui che vecchi com’erano più facilmente si commuovevano.

Pensò che non doveva poi essere tanto diversa quella Villa Fiorito, dove il mezz’uomo era stato bambino, periferia di una città del Sud del mondo, esattamente come Acerra. Sempre al Sud, sempre Sud.

Era arrivato per cambiare il mondo, il mezz’uomo. Era arrivato per diventare eterno. Era arrivato a Napoli per riscriverne la storia e la geografia, per insegnare ai napoletani a leggere, scrivere e sognare.

Era arrivato ed era un mezz’uomo. Si chiamava Diego Armando Maradona.

Barrilete cosmico.

Siempre. 

Spalletti credits to Instagram lucianospalletti

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